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( ANALISI )


QUALE AVVENIRE PER 500 milioni di donne arabe

(Con questo saggio, apparso sul settimanale tunisino "Realites" del 12 aprile 2000, Salem Trabelsi ci offre una panoramica della difficile condizione della donna nei Paesi arabi, in alcuni dei quali è in corso una dura battaglia, animata dai movimenti femminili e da alcune forze progressiste, per conquistare un moderno Statuto dei diritti della donna e la pari dignità nella famiglia e nella società)

"In Marocco, parlando di una donna, si dice spesso"L'mra, Hachak" (La donna! Che Dio vi preservi dal male). Un'espressione secca che riassume tutta una ideologia, tutta una tradizione. In questa espressione si riassume il problema della donna araba, del comportamento femminile e una certa maniera d'interpretare la religione.

Gli uomini politici non fanno che confermare questa interpretazione; pur sapendo che da qui si decide il destino d'ogni innovazione in materia.

Il mondo arabo-musulmano sarà travagliato dalle sue donne impegnate a contestare un patriarcato che dura da secoli?

Oggi, per la Tunisia questo dibattito costituisce una battaglia di retroguardia, invece in Marocco, in Egitto, in Kuwait, la questione dei diritti della donna ha suscitato ultimamente una polemica senza precedenti.

Il nuovo Codice dello statuto personale in Egitto e il progetto d'integrazione della donna nello sviluppo in Marocco hanno dimostrato a quale punto la piattaforma tradizionale, strumentalizzata da un fondamentalismo sempre più diffuso, sembra resistere a ogni tentativo di cambiamento.

Una resistenza che, prima di tutto, mette sotto accusa il discorso, considerato straniero, dei diritti della Donna e che nasce dalle fondamenta dei Diritto dell'Uomo. Ancora una volta, il mondo arabo scopre le sue lacerazioni interne. Che cosa c'è all'origine di quello che taluni oppositori delle correnti femministe considerano come il vaso di Pandora?

Nei Paesi arabi, i movimenti femminili (se si può parlare di movimento) sono sorti agli inizi del XX secolo, precisamente nel 1879 in Libano, nel 1923 in Egitto, nel 1944 in Giordania e in Marocco, nel 1953 in Bahrein e negli anni  '50 in Tunisia, epoca nella quale le Tunisine si sono impegnate nel movimento di liberazione anticoloniale.

Rivendicazioni politiche o scopi caritativi erano i principali obiettivi di questi movimenti che soffrivano di mancanza d' organizzazione e si scontravano contro i diversi scogli rappresentati dai loro rispettivi governi.

E' con la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo che si assiste all'emergere di un nuovo discorso femminista. Tuttavia, questo discorso non è nato con la dichiarazione in questione, cioè a dire nel 1948. In realtà è nel 1975 (data del 1° Congresso mondiale sulla Donna in Messico) che le Nazioni Unite hanno cominciato a parlare delle donne come delle"partneirs nello sviluppo". Questo fu anche il punto di partenza di un progetto mirante ad eliminare ogni forma di discriminazione contro la donna, per collegare la questione femminile al discorso dei Diritti dell'Uomo.

Un progetto che i Paesi arabi devono sottoscrivere se vogliono vincere la scommessa dello sviluppo. Fra i 21 paesi arabi, soltanto 8 (fino al 1995) hanno sottoscritto l'accordo concernente l'eliminazione d' ogni forma di discriminazione contro la donna. Tuttavia, firmare le convenzioni internazionali non porta necessariamente alla loro applicazione; questo è uno degli ostacoli contro cui si scontrano ancora un buon numero di movimenti femminili nel mondo arabo. Il fatto che la Tunisia costituisce un modello nell'applicazione di queste convenzioni non è che una prova in più della realtà di questi trattati presso gli altri paesi firmatari.

 

Il Medio Oriente mutilato

In Egitto, la vigente legislazione sullo statuto personale risale al 1931. A differenza d' altri settori giuridici, che s'ispirano al diritto francese, essa impronta la quasi totalità delle sue norme alla Charia islamica; questo carattere religioso rende delicata ogni modifica.

L'abrogazione nel 1985 della legge Jihane Sadate dimostra clamorosamente l'influenza dei conservatori in Parlamento (composto da 445 uomini e soltanto 9 donne). Questa abrogazione ha avuto, tuttavia, un effetto mobilitante. Il movimento di difesa dei diritti della donna si fece sentire ed ottenne il sostegno di personalità influenti del regime. Nel 1990, riuscì a fare presentare un nuovo progetto di legge in Parlamento. Ma si è dovuto attendere 9 anni prima di cominciare il dibattito. Il governo avrà dovuto aspettare la morte di taluni teologi ultraconservatori per presentare un progetto di legge sul divorzio meno ingiusto verso la donna? Comunque sia, dopo qualche mese, il sistema legislativo ha cominciato ad agire con una inedita celerità.

Nel mese di gennaio 2000, questo progetto venne approvato dall'Assemblea popolare. L'articolo 17 del nuovo Codice riconosce il matrimonio "urfi". Si tratta di un contratto legale fra un uomo e una donna concernente le loro "relazioni matrimoniali", con o senza stipulazioni finanziarie, che si fa spesso in segreto, all'insaputa dei parenti prossimi. La società tradizionale disapprova questo tipo di matrimonio che considera appena più rispettabile della prostituzione. Per i conservatori non bisogna conferire un'esistenza legale al matrimonio "urfi".

L'articolo 20 riconosce alla sposa il diritto di "Al-khala" in base al quale essa può prendere l'iniziativa del divorzio per incompatibilità di carattere, ma rinunciando ad ogni pretesa finanziaria. La legge attuale sulla famiglia da alla donna il diritto di chiedere il divorzio a condizione di fornirne il motivo. L'articolo 26 tratta del diritto di recarsi all'estero senza il permesso del congiunto. Questo articolo è stato semplicemente soppresso. Le femministe egiziane lasciano intendere che l'articolo più importante della legge, cioè l'articolo 20, è stato approvato è ciò costituisce già una vittoria contro i fondamentalisti sempre più numerosi in Egitto.

Se questo Codice è considerato un "passo"in avanti dalle Egiziane, esso non risolve in nessun caso uno dei flagelli che colpisce la quasi totalità delle donne in Egitto, e precisamente l'escissione, che passa ancora sotto silenzio. In effetti, il 97% delle egiziane sono state sottoposte all'escissione e queste forme di mutilazione sessuale sono talmente interiorizzate come segni d' appartenenza comunitaria che, in una inchiesta condotta in Egitto nel 1991, l'80% delle cittadine e il 98% delle donne rurali hanno approvato questa pratica.

Due organizzazioni di donne sono impegnate attualmente su questo problema, considerato come una delle forme più gravi di discriminazione. Queste organizzazioni sono preoccupate per la collusione fra i fondamentalisti e i poteri pubblici egiziani, collusione che si è manifestata dopo un'offensiva delle donne contro l'escissione al Congresso internazionale del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo.  

Le autorità egiziane per non rischiare di essere sopravanzati dai fondamentalisti hanno legittimato l'escissione. Così lo Stato egiziano non solo consolida una pratica arcaica, ma instaura un precedente nella regressione che minaccia i diritti delle donne.

In parallelo, si è verificata in Egitto una recrudescenza delle violenze sulle donne. Durante gli ultimi 5 anni, si sono registrati 746 stupri fra il Cairo e Alessandria. La legislazione egiziana considera lo stupro come un delitto sessuale e non come una violenza esercitata sulle donne. E anche se la donna sporge denuncia, i rapporti di polizia sono sempre ambigui. Le stesse sevizie subiscono le donne in Mauritania. Fra queste violenze, l'escissione "faraonica", diffusa nell'Africa musulmana, è praticata al 100% in Mauritania. In questa Repubblica islamica, le donne si battono contro norme arcaiche e operano per l'elaborazione di un Codice di famiglia giusto mentre si praticano poligamia e ripudio in maniera differente. 

Alcune etnie, in effetti, attingono alle tradizioni specifiche per ottenere uno statuto più degno per le donne. Del resto, autentici costumi nomadi perpetuano in Mauritania le aspirazioni alla libertà di cui si vede da qualche anno qualche manifestazione sulla stampa e nelle espressioni della società civile.

Le mauritane, che da molto tempo hanno vissuto sotto una dittatura militare, cominciano a respirare. Tutto è da costruire, sullo sfondo negativo di una grande povertà e del sottosviluppo. Difficile per le donne far valere i loro diritti in un paese ancora in via di costruzione.

E' questo anche il caso della Palestina dove le donne sono state esposte a violenze contro la persona, da parte particolarmente dei movimenti islamisti. Sollecitati, i partiti di sinistra risposero alle donne che la priorità non era questo problema, ma la lotta contro l'occupazione. Dopo l'Intifada, molte donne impegnate hanno lasciato i partiti politici per disillusione.

Nella loro vita quotidiana, le donne si preoccupano per il restringimento della loro sfera d' azione. Queste donne sono soggette all'escissione e vittime di delitti d'onore. Che cosa fa l'autorità palestinese per fermare tali azioni, per impedire che gli autori dei delitti d'onore non siano condannati a 6 mesi di prigione o ad una semplice multa? Il matrimonio precoce (a partire da 11 anni) è un'altra fonte di preoccupazione. Altra ferita in Medio Oriente: il Libano, dove esistono più di 150 associazioni femminili a scopo caritativo e dove ogni rivendicazione è assente. In effetti, la situazione della donna in Libano si caratterizza per un vuoto giuridico e per l'assenza di un Codice civile che le garantisca i suoi diritti. Una situazione dove la libanese è sottomessa all'ineguaglianza all'interno della famiglia, alla discriminazione nel settore professionale e alla violenza coniugale."

( 1 /a  PARTE.continua nel prossimo numero)

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Numero 4 - aprile 2000

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