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( ANALISI )


rileggi la 1a parte

OMAN - ContadinaQUALE AVVENIRE PER 500 milioni di donne arabe

Seconda parte del saggio di Salem TRABELSI, pubblicato sul settimanale tunisino "Realites" n. 746.

Maghreb: la speranza possibile

In Algeria, all'indomani dell'indipendenza, fu intrapresa una vasta opera di rimaneggiamento del diritto con lo scopo di redigere i nuovi codici. Si potrà credere che il legislatore algerino intendeva dotare l'Algeria di un apparato giuridico moderno. Il solo settore che il discorso politico non aveva nemmeno sfiorato era quello dei diritti della famiglia.

Sono passati 22 anni prima di vedere nascere un Codice di famiglia (promulgato nel 1984), somigliante, nei suoi grandi principi, a la "Moudawana" (Statuto della famiglia) marocchina: consacrazione della poligamia e del ripudio, ripresa dei principi del Corano in materia di successione, dominio del marito sulla sua donna basato sul suo potere economico.

Questo codice non riempie infatti un vuoto giuridico, ma "restaura una giurisprudenza molto conservatrice"- dice Nadia Ait-Zai, docente di diritto all'Università di Algeri- esso è dalla parte della Charia, non tiene conto né delle realtà economiche e sociali né del ruolo della donna nella società attuale e si basa su pretese regole islamiche". Il 5 ottobre 1988, le donne algerine hanno ottenuto il diritto di costituirsi in associazione. Alcune di queste associazioni rivendicano l'abrogazione del Codice di famiglia; altre propongono la modifica degli articoli considerati discriminatori e contrari alla Costituzione.

Tutte tentano di farsi intendere da un' opinione pubblica sorda o beffarda nei loro confronti. I partiti politici ricostituiti sostengono queste rivendicazioni, ad eccezione dei partiti fondamentalisti che le considerano come neo-colonialiste e che pensano che innanzitutto è la Charia che deve essere applicata.

Il precedente governo algerino riteneva che la riforma del Codice di famiglia non faceva parte delle sue priorità. Cosa si aspettano le militanti algerine dal governo Bouteflika?

Nadia Ait-zai risponde: " Da questo governo non ci aspettiamo più nulla. All'inizio si è sperato, ora continuerà a impegnarsi per vanificare i nostri diritti, come si è fatto sempre."

Se le algerine continuano a battersi in un'aspettativa poco promettente, le marocchine hanno vissuto, nel mese di marzo, un avvenimento senza precedenti. In Marocco, il Codice del Lavoro garantisce dei diritti minimi alle donne lavoratrici, ma nei fatti nulla è veramente rispettato e l'entrata del Marocco nella zona di libero scambio squassa questa precaria situazione.

I diritti sociali delle donne sono legate al loro Statuto personale. In Marocco, la condizione della donna è minoritaria, poichè il codice di famiglia autorizza la poligamia, il ripudio e l'esercizio del tutorato sulle donne, anche da parte dei loro figli minori.

Una battaglia è stata intrapresa nel quadro di un'azione condivisa da molti uomini e militanti dei partiti di sinistra. Ma le autorità religiose reagirono con una "Fatwa"( specie di scomunica islamica) contro i dirigenti di questa iniziativa.

Il Re Hassan II intervenne per mettere fine a questo braccio di ferro. Alcuni emendamenti minimi furono apportati al Codice, limitando la minorità delle donne e imponendo qualche ostacolo alla poligamia.  Ma ecco che il governo, dopo 18 mesi, propone un nuovo statuto della donna: il piano nazionale per l'integrazione delle donne nello sviluppo. Questo piano propone un insieme di misure "urgenti" considerate come prioritarie per la promozione delle marocchine, e particolarmente "il rafforzamento delle capacità giuridiche e politiche delle donne".

Prevede anche d'innalzare l'età minima (dai 15 ai 18 anni) per il matrimonio delle ragazze e di sopprimere la tutela riconosciuta al marito sulla moglie. Vieta anche la poligamia e accorda alla donna il diritto di tenere con se i figli in caso di divorzio. Un piano che ha diviso in due il Marocco. Il 12 marzo 2000, più di un milione di donne hanno invaso le strade. A Casablanca le organizzazioni islamiste si sono opposte vigorosamente al piano di Said Saadi (ministro per la Protezione sociale, per la famiglia e per l'Infanzia) e a Rabat le associazioni femministe e gli intellettuali hanno sostenuto un progetto tanto atteso.
Ora, dunque, la questione passa al Re Mohammed VI, in quanto Comandante dei credenti, sola autorità che ha la competenza per modificare il diritto islamico su cui si basa la Moudawana.

Il 20 agosto 1999, nel suo primo discorso del Trono, Mohammed VI aveva evocato per la prima volta la condizione ingiusta delle donne e l'urgenza di integrarle nel processo di sviluppo. Le marocchine hanno almeno una ragione di sperare?

La Moudawana è per le marocchine ciò che lo Statuto Personale è per le tunisine. La differenza consiste nel fatto che la legislazione tunisina si è presa la libertà d'interpretare la Charia, allorché la Moudawana si fonda sul diritto mussulmano di obbedienza malekita e pretende di legiferare secondo la legge divina. Benché l'idea dell'emancipazione della donna tunisina sia anteriore alla fine del protettorato, è nel 1956 che il Codice dello Statuto Personale è stato promulgato.

Dopo, la donna tunisina non ha cessato di realizzare nuovi progressi. Dopo il Cambiamento, questi risultati sono stati consolidati e arricchiti, e ciò ha generato nuove aspirazioni. Ma se la tunisina gode di uno statuto invidiabile, ha ancora tanta strada da fare. Prima rivendicazione: l'inuguaglianza delle opportunità nel mondo professionale che non consente alle donne l'accesso a certi posti di responsabilità quale quelli di segretario generale del Governatorato o di governatore.

Le nostre donne si battono nel senso di un allargamento del loro potere decisionale nelle istituzioni pubbliche e private. Le richieste vanno anche nel senso del rafforzamento della loro autonomia economica. Anche l'eredità s'inscrive fra le molteplici rivendicazioni femminili tunisine che la considerano come una "disuguaglianza di successione che non ha alcun fondamento".

Le rivendicazioni della tunisina sono dunque quelle di tutta la società poiché aspirano a una perfetta uguaglianza con l'uomo. Se il quadro giuridico è molto propizio a queste aspirazioni (notiamo che il Codice dello Statuto Personale tunisino è l'unico che vieta la poligamia), le donne in Tunisia devono fare fronte meno che alle leggi e più a una mentalità ancora fortemente segnata dal patriarcato.

L'inchiostro nero del Golfo

In Giordania operano 86 associazioni femministe, quasi tutte a carattere caritativo, e le poche fra esse che rivendicano qualche diritto si perdono in una visione troppo generale della donna. Il movimento femminista giordano è dunque caratterizzato dall'assenza di una visione chiara ancorata alla realtà sociale della donna e alle sue preoccupazioni.

Pertanto i nodi sono molto importanti: disoccupazione, integrazione economica della donna e progetto di un codice di statuto personale. Indifferenza o pressione politica?

In ogni caso, nei loro discorsi, le giordane si accontentano di riprendere le tesi generaliste quale quella della"donna, una parte della società" e di slogans vaghi come "la liberazione della donna è la liberazione della società".

Questo discorso si perde in una visione tradizionale del ruolo della donna e in conseguenza s'integra nel discorso politico ancora dominato dal potere maschile. Alcuni spiegano questa impostazione con l'assenza o la disconoscenza della laicità da parte delle donne, e ciò li spinge ad affermare che in Giordania non esiste un vero movimento femminista.

Il Bahrein è considerato come il primo paese in tutto il Golfo che ha introdotto l'insegnamento per le ragazze. Ciò risale al 1928. Dal 1980 al 1992, il numero di studenti è passato da 31.626 a 50.397. Il tasso d'alfabetizzazione delle donne si è attestato nel 1995 sul 23,9% . Ma in ciò che concerne l'insegnamento superiore, un'analisi dei dati ci rivela una netta discriminazione verso le donne.

In effetti, le ragazze rappresentano il 59% degli studenti dell'Università di Bahrein, quando le condizioni di ammissione a questa istituzione sono di 60% della media generale per i ragazzi e 80% per le ragazze. L'ineguaglianza delle opportunità è anche percettibile per gli stages all'estero, dove gli stagisti sono sempre maschi. Questa ineguaglianza è anche percepibile nel campo politico ed economico. Nel Bahrein, le donne sono escluse dalla vita politica per l'assenza di un Parlamento, esiste un consiglio della "Chura" (consultivo) che non conta alcuna donna fra i suoi membri. Su un altro piano, le donne si sono accontentate di una funzione tradizionale. Soltanto 11 donne sono direttrici nell'amministrazione. Detto ciò, uno dei più grandi ostacoli contro il quale si scontra la donna nel Bahrein è la mancanza di un Codice dello statuto personale.

Infatti, la magistratura si basa sulle fonti del "Fiqh"(generico diritto islamico), da qui una sottomissione totale della donna poiché i genitori possono intentare un processo alla loro figlia (o gli uomini alla loro sposa) per escluderle dal loro impiego /posto di lavoro), ritirarle la patente di guida o il loro passaporto.

In questo paese si assiste ad un aumento dei casi di divorzio dove la donna fa molte concessioni al marito, come l'abbandono dei suoi figli e della pensione alimentare. Con un'età di matrimonio per le ragazze di 16 anni, la poligamia è praticata soprattutto dagli intellettuali.

Da qualche tempo, un discorso fondamentalista è emerso a Bahrein e prende la forma di una reazione contro"l'occidentalizzazione" della società; in parallelo, la violenza sotto ogni forma contro le donne assume proporzioni sempre più inquietanti.

Ad un certo momento, lo Yemen del Nord era il paese più prossimo alla Tunisia in materia di Codice dello statuto personale. Ma dopo l'annullamento del Codice di famiglia in questo paese, i diritti della donna hanno accusato una caduta spettacolare. Questa regressione sul piano giuridico ha avuto per conseguenza una recrudescenza della violenza contro le donne, obiettivi privilegiati dei movimenti fondamentalisti. "Fondamentalismo", "integriamo", "Islamismo" sono i diversi nomi del concetto che costituisce il principale scoglio di fronte all'emancipazione della donna nel Mondo arabo.

Oggi, un giro del mondo mussulmano mostra bene come 500 milioni di donne cercano la loro via e la loro identità nelle società. Alcune, come l'Arabia saudita o lo Yemen, costituiscono una gogna immutabile; altri, come la Tunisia o la Turchia, hanno subito le influenze moderniste; qualcuno infine, come l'Iran, hanno respinto queste ultime con la violenza e il terrore.

Dal Sudan alla Mauritania, passando per l'Algeria, tutti gli scritti lanciano le stesse ingiunzioni, tutti i leaders religiosi fanno lo stesso discorso che si riassume in qualche modo in questa espressione (molto apprezzata dagli integristi algerini):" La donna è una produttrice di uomini e niente più".

Una donna che si ribella contro questa visione e la rifiuta, contestando così l'amalgama esistenti fra il diritto civile e quello religioso che caratterizza la quasi totalità degli Stati musulmani in materia di Statuto personale, è condannata a morte.

Talima Nasreen in Bangladesh o Khalida Messaoudi in Algeria ne sono esempi. Queste due donne hanno acquisito la convinzione che al di là della stessa democrazia, solo la laicità potrà permettere alle donne di accedere pienamente ad un' esistenza individuale. Ma la laicità è un concetto estremamente difficile da imporre. Per un numero crescente di musulmani, essa è sinonimo di colonizzazione, d'empietà, di distruzione della famiglia e di dissoluzione dei costumi. Resta dunque il femminismo?

Ma le femministe, da sole, saranno capaci di contrastare l'internazionale integrista?

Salem TRABELSI  

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Numero 5 - maggio 2000

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