( Guerra in Iraq )


VERSO UN IMPERO AMERICANO?

di Agostino SPATARO *

Le armate anglo-americane sono alle porte di una Bagdad stremata, ma non domata, da migliaia di micidiali incursioni aeree. Difficile prevedere cosa accadrà nel caso il conflitto si trasformi da attacco ipertecnologico a scontro feroce uomo a uomo, strada per strada, casa per casa.
Tuttavia (stiano tranquilli i fans di Bush), alla fine la smisurata potenza militare e tecnologica dei due alleati dovrebbe prevalere sull’esercito scalcinato di un dittatore sanguinario che ha avuto il torto di attardarsi al comando di un paese che naviga sopra un mare d’oro… nero.
Come tutte le guerre, anche questa è pura follia, anche quando i suoi fautori cercano di ammantarla con nobili ragioni umanitarie.
Guerra per modo di dire! Quando, come in questo caso, non c’è equilibrio fra le forze in campo, non c’è guerra, ma solo una proditoria aggressione del più forte che mira a schiacciare il più debole per imporgli, con la violenza e con la morte, le sue inconfessabili ragioni.
Guerra anomala, immorale, soprattutto quando gli improvvisati “giustizieri” sono i rappresentanti di Paesi che possono vantare una lugubre storia di sanguinosi intrighi e di colpi di stato per installare decine e decine di dittatori senza scrupoli che hanno portato morte e infelicità in mezzo mondo.
Molti di questi dittatori ancora comandano, a cominciare da taluni Paesi del Golfo, ma alla Casa bianca nessuno si sogna di metterli in mora. Evidentemente, sono più diligenti di Saddam Hussein che, certo, non lo si vuole liquidare per le sue arcinote efferatezze contro i kurdi, gli sciiti e in genere contro gli oppositori interni quasi tutti, non a caso, esponenti e militanti comunisti e della sinistra irachena.
Anche di questo si dovrebbe scrivere sui giornali e parlare nelle interminabili cicalate della Tv, un tempo pubblica, affinché si possa illuminare tutta intera la figura di questo dittatore sanguinario e denunciare, con la più viva forza, un dato stranamente trascurato: mentre gli uomini della sinistra irachena venivano impiccati, incarcerati, torturati e le popolazioni kurde letteralmente “gasate”, gli amici e i compari degli attuali governanti americani, inglesi, italiani, ex sovietici, francesi, tedeschi, ecc, realizzavano affari d’oro con Saddam Hussein oggi accusato di essere una sorta di genio del male.
Come detto, sugli esiti finali di questo conflitto non dovrebbero esserci dubbi: la vittoria “arriderà”-assicurano gli esperti della guerra- alle forze anglo-americane. Arriderà? Che terminologia blasfema! Contrabbandare per un sorriso il ghigno funesto della morte più abietta.
Ma la vittoria sul terreno militare non risolverà i nodi politici e strategici insistenti nella regione, anzi li potrà acutizzare ulteriormente e renderli persino esplosivi, sia per quanto riguarda il futuro assetto politico e territoriale (ed etnico e confessionale) dell’Iraq, sia in relazione ad altre questioni nodali quali: il conflitto israelo-palestinese che Sharon, profittando della disattenzione mondiale, ha trasformato in azione di pura “macelleria”; la stabilità politica del Medio oriente dove, sull’onda di una sollevazione nazionalistico – religiosa, potranno cadere uno dopo l’altro, come birilli, la gran parte dei governi arabi “moderati” (leggi alleati e/o comprati dagli Usa); e più in generale il tormentato rapporto fra Oriente islamico e Occidente.
Come dire: Bush vincerà la guerra, ma potrebbe perdere il “dopoguerra”.
Se tutto questo è vero, come sembra, viene da chiedersi: perché l’amministrazione Usa ha operato questa grave scelta di rottura, dagli esiti incerti e perfino controproducenti?
Non è facile rispondere a questa domanda, anche perché nella strategia politica di Washington ci sono molti “buchi neri” che non aiutano a capire dove Bush voglia andare a parare.
L’ipotesi che comincia a farsi strada è quello di un presidente succube dei “consigli”, un po’ troppo interessati, di un gruppo di specialisti bellicosi che mirano a trasformare gli Usa, anche mediante la guerra, da unica iperpotenza a impero mondiale. Siamo dunque al delirio di potenza?
L’ipotesi appare francamente azzardata, se non altro per il fatto che la statura dell’imperatore in pectore non è minimamente accostabile al genio di un Augusto, di un Adriano, di un Federico II, di un Carlo V, ecc.
Tuttavia, sono in tanti, soprattutto nel terzo mondo, a percepirla come una seria minaccia sulle base di argomentazioni solide e rispettabili, secondo le quali Bush, pur di farsi “incoronare” imperatore, sta demolendo il sistema delle relazioni internazionali e l’impianto politico e diplomatico costruiti nel dopoguerra, mettendo perfino in discussione consolidate alleanze e importanti istituzioni multilaterali (Onu, Nato, Wto, Unesco, ecc) che hanno garantito al mondo circa 60 anni di quasi pace e agli Usa una crescita davvero spettacolare, mentre tenta di sabotare ogni ipotesi e/o iniziativa che potrebbe ostacolare o rallentare l’attuazione di questo delirante progetto di egemonia mondiale.
Dopo gli “Stati canaglia”, nei piani di demolizione preparati dall’establishment ci sono la “vecchia Europa”, che ambirebbe diventare una Unione politica ed economica (ovvero la più grande potenza commerciale del Pianeta) e, fors’anche, questa vecchia Chiesa cattolica che si rifiuta di avallare la nuova crociata contro il petrolio islamico, di scatenare la cosiddetta “guerra di civiltà” invocata dai mentori giudaico/sanfedisti che ispirano la condotta del presidente Usa.
In realtà, quella di Bush rischia di essere soltanto una disastrosa velleità, una politica avventurista che si configura come una minaccia per la convivenza pacifica e democratica e che- se attuata- potrebbe produrre effetti molto indesiderati, in primo luogo per la sicurezza e gli interessi degli stessi Stati Uniti.
Se questa fosse, per davvero, la nuova dottrina strategica dell’amministrazione Bush nessuno si sentirebbe tranquillo in casa propria; verrebbero meno solidarietà considerate acquisite, anche fra i paesi industrializzati, nascerebbero nuove opposizioni ideologiche, nuove organizzazioni terroristiche e un’enorme, spaventosa ondata di odio e di risentimenti (antiamericani) salirebbe dai popoli del terzo e quarto mondo, soprattutto da quelli di tradizione islamica.
Un bel risultato insomma per il popolo degli Stati Uniti che dovrebbe continuare a vivere nella paura e nell’isolamento internazionale!
Se il signor Bush ha perso o si è montata la testa, la risposta della nostra “vecchia” e cara Europa deve essere quella di non farsi coinvolgere in questa pericolosa avventura e di tenere ferma la barra dell’unità politica ed economica del Continente e del dialogo e della cooperazione pacifica con tutti i popoli e gli Stati del mondo, e in primo luogo con quelli arabi e del Mediterraneo.

3 aprile 2003

Agostino Spataro*
e-mail: cestumed@tin.it
Ne sito www.infomedi.it si possono consultare gli articoli precedenti:
“Le vere ragioni della guerra di Bush” (tradotto anche in lingua spagnola)
“Petrolio: il sangue della guerra”.

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