Intervista all’on. Agostino Spataro
LA SICILIA NEL MEDITERRANEO DELLA GLOBALIZZAZIONE
di Diego Romeo


On. Spataro, ho l’impressione che lei provi imbarazzo nel constatare che, da uomo appartato, ha una grande libertà di parola e di scrittura. Non mi spiegherei altrimenti la sua cortese resistenza a non farsi intervistare.

In verità, durante la mia lunga esperienza politica ho sempre cercato di pensare e di agire da uomo libero; anche da dirigente e deputato nazionale del Pci, partito regolato al suo interno dal “centralismo democratico”.
Il fatto è che mi danno fastidio l’attuale processo di omologazione, verso il basso, del ceto politico, l’asservimento della politica e di certa informazione agli interessi dei grandi gruppi finanziari e economici.
Questa corsa affannata di uomini e donne che per un posto di consigliere o deputato o di assessore sono disposti a rinunciare alla loro libertà e dignità.
La politica, i partiti mi appaiono costruzioni artificiose, ingannevoli, mirate a conseguire obiettivi di affermazione personale. Perciò, cerco di starne alla larga.
Anche se, collaborando con “La Repubblica” e con altri giornali e riviste, mi sforzo di continuare a dare un contributo al cambiamento, sempre dalla parte dei lavoratori, dei giovani e della legalità.
Cose che non si possono fare più all’interno dei partiti, anche di sinistra, dove il confronto delle idee è praticamente vicino allo zero.

Andiamo al tema. Lei, che alla Camera ha rivestito importanti incarichi nelle commissioni parlamentari, continua ad occuparsi di relazioni internazionali. Da poco è tornato da Parigi dove ha partecipato a un seminario promosso da un organismo governativo francese. A bruciapelo le chiedo: ma ce l’ha oggi l’Italia una politica estera o si sente nostalgia di Andreotti e De Michelis?

Il problema non è nominalistico. La tanto biasimata “prima Repubblica”, pur con ambiguità e condizionamenti esterni (Usa e Nato), riuscì a concepire un disegno relativamente autonomo al quale, da una certa fase in poi, contribuimmo ad elaborarlo anche noi comunisti, dall’opposizione.
Era la politica estera possibile di una media potenza regionale legata agli Usa, ma in grado di sviluppare un’azione pacifica e di cooperazione, soprattutto negli scacchieri mediterraneo e mediorientale, che ha avuto un importante risvolto sul terreno politico e degli scambi economici e commerciali.
Insomma, allora, si riusciva a parlare un po’ con tutti: arabi e israeliani, persino con i sovietici. Nel mondo, l’Italia aveva tanti amici e non tanti nemici come oggi.
Nell’ultimo ventennio, l’immagine internazionale dell’Italia è stata stravolta, indebolita, ridicolizzata perfino.
Pur essendo un paese co-fondatore dell’Unione europea, dell’euro, l’Italia tende ad allontanarsi dall’Europa che conta per collocarsi su una linea di ambiguità, oscillante fra gli interessi più retrogradi degli Usa e quelli molto più concreti di taluni gruppi economici e finanziari italiani,. A cominciare dalle imprese del presidente del Consiglio….

Ecco, affidarsi a Putin e a Gheddafi cosa significa e cosa comporta?

Per saperlo non bisognava, certo, attendere la pubblicazione da parte di Wikileaks delle informative dell’ambasciata americana. Già da qualche anno, si poteva notare la trasformazione delle relazioni bilaterali dell’Italia con la Libia e con la Russia in rapporti personali fra Berlusconi Putin e Gheddafi.
Bastava osservare i dati dell’interscambio commerciale per accorgersi che la Russia di Putin e la Libia di Gheddafi erano diventati i nostri primi due fornitori d’idrocarburi (petrolio e gas). Come abbiamo notato su “Infomedi”, i due paesi, nel primo semestre del 2009, hanno coperto il 43% dell’import italiano d’idrocarburi.

Una copertura a dir poco imbarazzante.

Certamente. Per altro, questa eccessiva concentrazione delle fonti di approvvigionamento ha modificato l’equilibrio tradizionale che poggiava su una più ampia diversificazione, soprattutto sui paesi della penisola arabica verso i quali si registra, di conseguenza, una caduta dei nostri volumi di export.
Un dato inquietante che potrebbe condizionare la sicurezza e la continuità del nostro sistema di approvvigionamento energetico e quindi lo sviluppo economico e civile del Paese.
In questo delicato campo, si è determinata una condizione di scarsa affidabilità politica che ha spinto l’Europa a promuovere, un po’ frettolosamente, la realizzazione di ben quarantasei nuovi rigassificatori, di cui dodici in Italia e due in Sicilia.

Tutto ciò, a parte i colossali tornaconti di società e di persone che maneggiano gli accordi e i relativi contratti, come comincia ad emergere dalle inchieste giornalistiche e d’altra natura.

I suoi numerosi saggi, a volte, hanno intravisto l’evoluzione della situazione mediterranea e mediorientale. Ha qualcos’altro in preparazione?

Per adesso, sto focalizzando le mie ricerche sul possibile nuovo ruolo del Mediterraneo all’interno dei nuovi scenari della globalizzazione.
Questo, a me sembra, il punto di novità essenziale che apre una prospettiva inedita per fare uscire l’Italia, la Sicilia dalla crisi attuale.

A mio parere, in questo nuovo ordine internazionale in formazione, pluricentrico e multiculturale, l’area mediterranea potrebbe, addirittura, riacquistare il ruolo di centralità perduto nel 1492, a seguito della scoperta dell’America.

Se n’è parlato al seminario di Parigi?

In realtà, a Parigi si è parlato dell’India, delle sue dinamiche economiche, demografiche e militari. Lo scorso anno è stata la volta della Cina. Due grandi potenze (Cindia) fra loro in concorrenza che influenzano la crescita economica e le relazioni fra gli Stati.
Anche il Mediterraneo, la stessa Sicilia, sono, e sempre più saranno, influenzati dagli andamenti e dalle strategie espansive di queste due supereconomie. Se non altro perché rappresentano il luogo privilegiato dello scambio fra Cindia, Europa e Paesi arabi.
Per avere un’idea del ruolo crescente di quest’area vitale del mondo basta osservare l’imponenza dei flussi commerciali da e per l’Europa che, attraverso il canale di Suez, solcano il Mediterraneo.
Siamo in presenza di una colossale movimentazione di merci cui fa da pendant un flusso di capitali (in prevalenza arabi) che rendono il Mediterraneo e le zone contigue una delle aree più appetibili del Pianeta. Ovviamente, bisogna saper cogliere queste opportunità, attrezzandosi per attirare produzioni, merci e capitali d’investimento.
La Sicilia, pur essendo il luogo baricentrico di quest’area, non sta facendo nulla per intercettare tali flussi e predisporsi a svolgere un ruolo dinamico di avamposto e non di periferia emarginata dell’Unione Europea. E’tempo, dunque, di progettare, agire. Ma qui tutto sembra fermo.

C’è oggi un partito, una politica adeguata a queste urgenze?

Spiace rilevarlo, ma all’orizzonte del nostro futuro prossimo non si intravedono un ceto politico e imprenditoriale preparati a questi compiti.
In Sicilia, le principali forze politiche sembrano rassegnati alla marginalità, adattarsi all’eterna crisi che sta divorando perfino la speranza nel cambiamento.
Altro che Cina e India! Qui manca la progettualità politica e l’autentico spirito d’impresa. Si evita il rischio e si brama l’incentivo. Si vivacchia con il clientelismo, con i contributi pubblici, le raccomandazioni, le mazzette, il pizzo, l’evasione fiscale. Mentre continua la fuga dei giovani siciliani verso il nord o l’estero.
Il nuovo rapporto Europa - Asia è già iniziato e si svolge sotto i nostri occhi, nel cuore del Mediterraneo, ma la Sicilia è tagliata fuori.
Un solo esempio. Il movimento delle navi-container che salta completamente la nostra Isola. E non certo per malevolenza, ma perché la Sicilia non é attrezzata per accoglierlo.
Gli approdi sono altrove: a Gioia Tauro, a Malta, ad Algesiras. Ora anche Tangeri si sta organizzando per divenire il più grande porto mediterraneo di collegamento fra i flussi asiatici e le Americhe. La Sicilia sembra condannata ad accogliere solo pericolosi impianti energetici (rigassificatori, centrali nucleari, discariche in gran quantità), per altro al servizio dell’economia del nord. Mentre i nostri politici tardo-populisti continuano a piangere sulla miseria del popolo e a crogiolarsi nelle loro modeste furbizie.

(dall’intervista a Agostino Spataro raccolta da Diego Romeo per “Grandangolo” del 24/12/2010)

 








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