La
lezione irachena e la lotta per la libertà
La cattura di Saddam Hussein è stato certamente un importante
evento mediatico e propagandistico, ma, per favore, non si dica che
è stato un atto eroico. Secondo fonti israeliane ben informate,
pare che il dittatore sia stato “impacchettato” dai suoi
fedelissimi che l’hanno venduto agli americani per intascare
la favolosa taglia di 25 milioni di dollari.
Un’indiretta conferma di tale ricostruzione si può ricavare
dalle modalità di svolgimento dell’operazione “alba
rossa” in cui sono stati impegnati 600 uomini (fra curdi e statunitensi)
i quali, senza colpo ferire, hanno catturato il dittatore, già
prigioniero, in quella tana per topi.
Cattura rumorosa, dunque, ma non eroica. In questa strana guerra “preventiva”
si sta stravolgendo perfino il concetto, un po’ romantico, di
eroismo mediante un abuso dell’aggettivo “eroico”,
in altri tempi riferito a casi davvero emblematici ed eccezionali.
Comunque siano andate le cose, l’arresto di Saddam libera il
campo di una presenza ossessionante, perciò è una buona
notizia per tutti gli amanti della pace e della libertà e soprattutto
per quanti hanno, effettivamente, subito morte e sofferenze inenarrabili
a causa di quella spietata dittatura.
Per molti, invece, dovrebbe essere, più sommessamente, un’occasione
di sincera meditazione affinché, passandosi una mano sulla
coscienza, dicano al mondo se hanno o non hanno fatto tutto il possibile
per impedire al dittatore iracheno di costruire e rafforzare il suo
sistema di potere assolutistico e crudele.
Senza una seria riflessione di questo tipo, la lezione irachena non
servirà a nessuno: né agli iracheni che l’hanno
subita sulla loro pelle, né a quanti si sono assunti- in modo
unilaterale- il ruolo di liberatori.
Da
baluardo a nemico efferato dell’Occidente
Non bisogna, infatti, dimenticare che c’è stato un tempo,
non tanto remoto, in cui molti dei suoi attuali, acerrimi nemici blandivano
il dittatore di Bagdad come un baluardo della civiltà occidentale,
magari per strappargli contratti miliardari.
Erano gli anni ’80, un periodo d’oro per Saddam saldamente
insediato al potere dopo aver soppiantato il presidente legittimo
ed eliminato, anche fisicamente, centinaia di oppositori interni al
suo stesso partito (il Baath) e fra i partiti nazionalisti e di sinistra
ex alleati di governo, fra cui l’intero gruppo dirigente del
Partito comunista iracheno.
Fra le prime immagini inviate dalla CNN nel giorno della cattura del
dittatore, ne abbiamo visto una davvero autentica e fugace (forse
sfuggita alla censura di guerra) che mostrava le manifestazioni di
giubilo dei militanti comunisti che sventolavano le loro eroiche bandiere
rosse. Qui l’aggettivo “eroico” è più
che appropriato, poiché sotto Saddam chi si professava comunista
veniva incarcerato, torturato e sovente anche ucciso.
Insieme ai comunisti iracheni, hanno sicuramente diritto di gioire
le popolazioni curde, soprattutto quelle che sono state gasate col
micidiale “sarin”, e gli sciiti del sud perseguitati per
tutto il periodo della guerra Iran-Iraq.
Queste sono state le principali vittime, e non casuali, della sanguinosa
repressione di Saddam Hussein.
Tutti gli altri, quelli che oggi inalberano i vessilli della libertà,
soprattutto all’esterno dell’Iraq, prima di esultare,
dovrebbero spiegare al mondo alcuni “passaggi” cruciali,
ancora non del tutto chiari.
Non è un mistero che vari governi occidentali e arabi (Usa
e sauditi in testa) mobilitarono i loro mass-media per presentare
Saddam all’opinione pubblica mondiale come l’eroe che,
scatenando la guerra di aggressione contro l’Iran sciita, s’interponeva
come una diga (armata di tutto punto dalle potenze della Nato e del
Patto di Varsavia) fra l’ondata minacciosa della rivoluzione
khomeynista e gli immensi giacimenti di petrolio iracheni e della
penisola arabica.
Tutto
era permesso al tiranno, anche l’uso delle armi chimiche
Quella sporca guerra durò 8 anni e fece milioni di morti, fra
i quali decine di migliaia di bambini/martiri inviati al fronte da
Khomeyni a farsi saltare sopra le mine per spianare la strada
all’avanzata dei suoi carri armati e centinaia di migliaia di
donne, vecchi e bambini iracheni periti sotto le bombe dell’aviazione
iraniana.
Già in quella guerra, Saddam usò le armi chimiche, tuttavia
nessuno in Occidente e in Oriente si scandalizzò più
di tanto, né sui giornali né nelle assisi internazionali.
Addirittura, al Consiglio di sicurezza e nell’Assemblea generale
dell’Onu furono bloccate diverse risoluzioni di condanna presentate
dagli iraniani.
Allora tutto era consentito al grande dittatore che stava salvando
i pozzi di petrolio (e quindi garantito il regolare rifornimento all’occidente)
e che, per altro, continuava ad acquistare costosi sistemi d’arma
dai principali Paesi della Nato e del blocco orientale.
Un affare lucroso per decine e centinaia di miliardi di dollari, al
quale parteciparono anche diverse imprese italiane, pubbliche e private,
che vendettero all’Iraq di Saddam un’intera flotta militare,
componenti per costruire il temutissimo “supercannone”
e perfino materiali per la fabbricazione di ordigni chimici. Alcune
di queste operazioni scatenarono, all’interno del variegato
mondo dei mercanti d’armi, gravi contrasti e oscure trame; in
una di queste restò impigliata la filiale di Atlanta della
Banca Nazionale del Lavoro.
A parte questo, tutto filò liscio come… il petrolio.
Con la benedizione dei vari governi che facevano a gara per ingraziarsi
i favori di Saddam e del suo entourage, ovvero di tutti quei personaggi
raffigurati nel famoso mazzo di carte da poker.
Un
processo internazionale per accertare tutte le responsabilità
Tutto ciò ed altro, bisognerebbe ricordare a chi finge di aver
dimenticato e ai giovani che non hanno vissuto quella fase terribile
per la vita del popolo iracheno e della sue forze progressiste.
E non per ritorsione polemica, ma per amore della verità storica
e soprattutto per evitare che questo improvviso “impulso di
democratizzazione”, che si vorrebbe imporre con la guerra preventiva,
si possa esaurire con la cattura di Saddam; lasciando indisturbati
altre decine di dittatori, arabi e non, di continuare ad opprimere
miliardi di uomini nella più assoluta impunità, coperti
dal più inverecondo silenzio-stampa.
Per queste ragioni è auspicabile che Saddam Hussein arrivi
vivo e cosciente al processo, che dovrà essere svolto secondo
le norme del diritto internazionale, evitando sentenze sommarie e
vendicative, affinché l’imputato abbia la possibilità
di raccontare ai giudici tutta la verità in ordine alle sue
tremende responsabilità e a quelle di chi lo ha collaborato
e aiutato, dentro e fuori l’Iraq. Poiché è chiaro
che, da solo, non poteva fare tutto quello di cui è accusato.
Il processo potrebbe essere, dunque, l’occasione per fare piena
luce sugli ultimi 30 della storia politica e sociale dell’Iraq
e delle sue relazioni internazionali.
Solo partendo da questo fondamentale chiarimento, si potrà
avviare, con l’intervento dell’Onu, un autentico processo
di riconciliazione nazionale e di transizione democratica, basato
sulla partecipazione e sull’autogoverno del popolo iracheno.
Dopo
Saddam: l’autogoverno del popolo iracheno.
La drammatica sequenza di attentati conferma il fatto che, anche dopo
l’arresto di Saddam, la guerriglia continua a tirare colpi micidiali.
Solo uno sprovveduto può ritenere che un uomo ridotto nelle
condizioni penose in cui è stato trovato potesse progettare
e dirigere azioni così clamorose e micidiali. Certo, non conosciamo
il quadro reale delle forze in campo nella confusa situazione dell’Iraq
occupato, tuttavia non era difficile prevederne gli attuali, tragici
sviluppi.
E’ davvero stupefacente assistere alla perdurante inefficienza
dei servizi segreti più agguerriti del mondo, dotati di sistemi
informativi e di mezzi sofisticatissimi, i quali non riescono a prevenire
nulla (dall’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle
a quello di Nassirya e ai tanti altri che si verificano quotidianamente)
e soprattutto ad arrestare, senza l’incentivo di cospicue taglie,
gli strateghi e i responsabili dei vari gruppi operativi.
Così come non si capisce cosa stiano facendo i famosi e super
pagati analisti della Casa bianca, del Pentagono, della Cia e dei
vari Paesi della coalizione; quali analisi stiano fornendo ai governi
committenti visto che li stanno spingendo verso le sabbie mobili di
una guerriglia atipica, condotta con metodi terroristici e sulla base
di una forte motivazione religiosa e patriottica, che potrebbe addirittura
sfociare in una guerra civile e quindi infiammare l’Iraq e le
aree contigue.
Tutto ciò è strano, molto strano, inspiegabile, in base
ad una normale logica politica.
Sorge, perfino, il dubbio che, forse, i responsabili politici desiderino
far degenerare ed allargare il conflitto. Per quali obiettivi ? Forse
per legittimare la “guerra di civiltà” già
preventivata dai fondamentalisti d’Occidente e d’Oriente?
Mai la politica dei grandi Paesi democratici si è mostrata
così avventata come, oggi, in Iraq.
Perciò, l’Europa e l’Italia non dovrebbero farsi
trascinare in questa pericolosa avventura. Anzi, devono reclamare,
con più forza e unità, la fine dell’occupazione
militare straniera dell’Iraq e l’affidamento all’Onu
della responsabilità della transizione, verso un governo nazionale
e democratico, espressione della volontà di rinascita degli
elettori iracheni.
Senza pretendere d’indicare, o peggio di esportare, il nostro
modello…
Agostino Spataro
(19 dicembre 2003)
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