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PALERMO

In questa nuova rubrica proponiamo articoli e commenti comparsi su "la Repubblica - Palermo" riguardanti le relazioni tra la Sicilia e i paesi dell'area mediterranea e del mondo arabo.

( LA SICILIA NEL MEDITERRANEO)


A Cartagine e a Tunisi reperti archeologici e capi di famosi stilisti l'iniziativa
Le ceramiche, l'alta moda Sicilia e Tunisia gemelle


ISABELLA NAPOLI


Ceramiche - Tunisia

TUNISI - Le ceramiche di Caltagirone e l'alta moda italiana sbarcano a Tunisi in un'esposizione che le riunisce sotto un comune denominatore: la Sicilia come luogo ideale d'incontro fra le civiltà mediterranee. È stata inaugurata due giorni fa all'Acropolium di Cartagine l'esposizione "Echi delle Sirene", promossa dall'assessorato regionale ai Beni culturali con il sostegno del ministero del Turismo di Tunisia. Un affascinante percorso fra i reperti del Museo regionale della ceramica di Caltagirone che, dal Medioevo agli inizi del ventesimo secolo, sottolineano il legame e le affinità culturali fra Sicilia e Tunisia, con un'incursione nel mondo dell'haute couture.
La rassegna, che rimarrà aperta fino al 28 gennaio, raccoglie 98 manufatti d'uso quotidiano, da dispensa, da «aromateria» e da mensa, ceramiche ornamentali e architettoniche, rivestimenti pavimentali e targhe votive, fino alle più recenti produzioni calatine. «Il settore più importante della mostra - spiega Enza Cilia, direttrice del museo di Caltagirone e organizzatrice dell'evento - è costituto dai reperti medioevali, nei quali è maggiormente evidente la parentela di forma, stile e tecnica fra ceramiche tunisine e siciliane».

Fra i reperti, il più antico è un frammento di ciotola del decimo secolo, ma i pezzi che denotano una maggiore influenza delle maestranze tunisine in Sicilia sono le scodelle e i piatti del sedicesimo secolo, realizzati con la tecnica «a lustro», una particolare cottura della ceramica che la rendeva più fastosa. «Questa tecnica fra l'undicesimo e il dodicesimo secolo - continua la Cilia - approdò dalla Tunisia alla Spagna, per poi arrivare in Sicilia durante la dominazione spagnola».
Alle ceramiche siciliane e al patrimonio archeologico e culturale del Mediterraneo si ispirano gli abiti dei couturier che hanno contribuito all'inedito connubio fra antica arte della ceramica e moda: Marella e Gabriella Ferrera, Raffaella Curiel, Grimaldi & Giardina e Alviero Martini. Fra i capi dello Studio Ferrera, una decina in tutto, spiccano i corpetti che riproducono alcuni reperti archeologici, come il cratere del vasaio del quinto secolo avanti Cristo e i decori ispirati alle piastrelle della scalinata di Santa Maria del Monte a Caltagirone. «Alcuni modelli sono realizzati con resine - dice Gabriella Ferrera - altri con terrecotte e pietra lavica».
Gli abiti firmati da Raffaella Curiel, che ha partecipato all'inaugurazione della mostra, sono invece dedicati alle maioliche tipiche della tradizione portoghese. Al taglio del nastro erano presenti il ministro del Turismo della Tunisia, Mondher Zénadi, e l'assessore regionale ai Beni culturali, Fabio Granata. Nei giorni scorsi il presidente tunisino Abdin Ben Ali aveva visitato lo spazio espositivo della rassegna, allestito al diciannovesimo Salon de la creation artisanal a Tunisi. «Questa mostra è l'inizio di una serie di iniziative che coinvolgeranno la Regione siciliana e il governo tunisino - ha annunciato Granata - È in programma uno scambio di pezzi archeologici con il museo del Bardo di Tunisi, che dovrebbe ospitare l'anno prossimo le tre arule (stele votive, ndr) di Gela del quinto secolo avanti Cristo. Con il centro regionale di restauro, inoltre, contribuiremo al restauro di una parte della Medina, con fondi messi a disposizione dal ministero della Cultura di Tunisi. In quest'opera saranno coinvolte piccole imprese siciliane».
In progetto anche un cartellone di spettacoli itineranti siciliani in siti archeologici tunisini e un programma di pacchetti turistici comuni fra Sicilia e Tunisia per promuovere l'immagine all'estero.

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Totò d'islam finanziato dalla regione

AGOSTINO SPATARO


Totò Cuffaro
Presidente Regione Sicilia

Mai come oggi c'è stata fra i governi di Roma e di Palermo, entrambi di centrodestra, una sintonia di stile e di concetto decisamente mirata a indebolire lo Stato, a scardinarne l'impianto laico, a demolire la "res pubblica" per favorire gli interessi privati. In questi primi cinque mesi, a Roma il governo Berlusconi si è contraddistinto per aver varato quattrocinque leggi alle quali egli e suoi più diretti collaboratori sono personalmente interessati, mentre a Palermo il presidente della Regione Cuffaro continua a esibirsi in grotteschi atti di fede, raschiando il fondo delle finanze regionali per favorire il ruolo culturale e politico della Chiesa cattolica e le aspirazioni, non proprio spirituali, di talune sue articolazioni culturali e imprenditoriali.

Come se la Sicilia fosse ridiventata "terra di missioni", per il recupero della cattolicità perduta strada facendo o perché minacciata da orde di pirati barbareschi, il presidente della Regione più derelitta d'Italia, con un bilancio al limite della bancarotta, continua a elargire prebende e miliardi a favore del clero e di potentati, anche indirettamente, collegati alla Chiesa cattolica. Il primo di questi atti pii, o di fede che dir si voglia, è stata l'assunzione di 200 sacerdoti, inquadrati nei ruoli dirigenziali delle Ausl con la qualifica di assistenti spirituali presso gli ospedali e altri presidi sanitari pubblici. L'ultimo, varato dalla giunta l'altro ieri, è il disegno di legge riguardante la concessione di un assegno, fino a tre milioni di lire annui, alle famiglie che scelgono per i loro figli gli istituti scolastici privati, in grandissima parte gestiti da ordini e associazioni cattoliche.
Nel frattempo Cuffaro, attivissimo sul fronte dei pellegrinaggi mariani (da Fatima a Siracusa), non ha dimenticato il "patto" sottoscritto con Formigoni, non per stabilire rapporti di proficua cooperazione fra la Regione più ricca e quella più povera, ma per favorire lo sbarco in Sicilia delle imprese della Compagnia delle opere, braccio economico di Comunione e liberazione, in vista della spesa dei fondi di Agenda 2000. Alla faccia dell'imprenditoria siciliana che aspetta e spera, dopo aver regalato al centrodestra una barca di voti. In questo colossale sforzo missionario non poteva mancare don Verzè, il pretemanager del "San Raffaele", il quale si è presentato a Cefalù, in doppiopetto gessato, per proporre alla Regione, partendo da una struttura ospedaliera pubblica quasi ultimata, un accordo per la creazione e la gestione (ovviamente con fondi regionali) di un centro anti talassemia, a quanto pare superfluo.
In ultimo, il presidente Cuffaro ha chiamato nel suo staff, che affolla gli uffici della Presidenza, anche un prete, don Mario Golesano, col compito di curare i rapporti con i fedelielettori. Dall'esterno, non intendiamo valutare la sanità morale di tali atti in rapporto con il magistero della Chiesa e con lo spirito di evangelizzazione conclamato, tuttavia non ci sembra essere questa la "via" indicata dal Vangelo e dal Concilio Vaticano II.

Invece d'interrogarsi, la Chiesa incassa e ringrazia e fa sapere al presidente Cuffaro che «il Sommo Pontefice mentre invoca copiosi doni di luce e di pace sulla missione che Le è stata affidata, di cuore imparte a Lei l'implorata benedizione apostolica...».
Che strano, nonostante quel 60 per cento di voti ricevuti e gli appoggi politici ostentati, Cuffaro si dovrà sentire molto insicuro nello svolgimento della sua missione se, oltre a chiedere la protezione della Madonna delle Lacrime di Siracusa, ha implorato la benedizione del Papa, il quale gliela concede in cambio di «copiosi doni di luce e di pace». Da questa frase, forse, è nato l'equivoco: si chiedono certo doni, ma «di luce e di pace», non elargizioni materiali.
Non sappiamo se e quali altri «doni» troveremo sotto l'albero del centrodestra siciliano, tuttavia ce ne sono stati abbastanza per cominciare a preoccuparsi seriamente della deriva cattoclientelare della Regione. Una tendenza che potrebbe risultare perfino pericolosa, in questa fase storica segnata dal riaccendersi, a livello planetario, dello scontro culturale e militare intorno alle strategie del "fondamentalismo" islamico inteso, non solo nella sua degenerazione stragista, ma come fenomeno che si fonda e si alimenta sull'uso politico, ossia sulla strumentalizzazione, della religione e del sentimento religioso per conseguire inconfessabili disegni di potere economico e politico.
Al fanatismo islamista, che vorrebbe abbattere lo Stato laico per instaurare quello islamico, l'Europa e l'Italia devono rispondere esaltando il valore universale dei diritti dell'uomo conquistati con la Rivoluzione francese e dello Stato laico, aconfessionale, che ne è il frutto più prodigioso. Sarebbe davvero una iattura il solo pensare a una risposta di tipo integralista o incamminarsi per le vie contorte del fondamentalismo cristiano che pure esiste e opera, mimetizzandosi nel sottosuolo delle coscienze di taluni individui spaventati dai bagliori della crisi del mondo. Senza voler esagerare, c'è il rischio che in Sicilia (la quale nel passato ha fatto parte, per circa due secoli, della Umma, comunità musulmana) si voglia attuare, sotto un altro segno, qualcosa di simile a quello che, da tempo, avviene in Algeria, in Egitto, in Sudan e in altri paesi di tradizione musulmana, a partire dalle moschee e dai ministeri per gli affari religiosi.
Al culmine del loro delirio mistico, i talebani dell'Afghanistan istituirono un «ministero della virtù e del vizio», chissà se - di questo passo - in Sicilia non si giungerà a un «assessorato» con tali funzioni. In questo caso, rischiamo di trovarci in camera da letto un assistente spirituale (pagato dalla Regione). A parte lo scherzo, il paragone non è poi tanto improbabile. Basta vedere sotto quali attività gli islamisti camuffano le loro mire politiche: l'assistenza spirituale e materiale in favore di ammalati, orfani, vedove e anziani; la diffusione delle scuole coraniche (madrase) a scapito di quelle statali, la creazione di banche e imprese «islamiche» per il controllo degli affari più lucrosi, ecc. In simile contesto nascono i partiti islamici e le associazioni estremiste, formidabili strumenti per catturare e organizzare il consenso, in vista della conquista del potere.
A parte la violenza terroristica, c'è una vistosa differenza fra il fondamentalismo islamista e quello nostrano: nelle terre dell'Islam sono le petromonarchie del Golfo a finanziare le opere di religione, in Sicilia invece a pagare è la Regione.

Agostino Spataro

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Due voli alla settimana tra Palermo e il Marocco


L'avvio di voli bisettimanali diretti tra Palermo e il Marocco, ma anche il gemellaggio fra Palermo e Tangeri. Sono i risultati ottenuti da un gruppo di imprenditori palermitani in in Marocco. Tra le trattative portate a termine: una partnership per la produzione di imballaggi, contratti per costruzione di alberghi, convenzioni per collegamenti di telemedicina curati dal Consorzio Med Europe Export. Alle aziende palermitane viene offerta la possibilità di investire nella zona franca del Marocco (detassazione per dieci anni) nei settori del trattamento delle acque e della costruzione di infrastrutture. La delegazione palermitana era guidata dal presidente della Camera di commercio, Enzo Chiriaco.

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Se tornassimo a far parte della Spagna

di NINO ALONGI


Palermo - Cattedrale

«Ridare indietro la Sicilia, restituirla alla Spagna, così come sta facendo la Gran Bretagna con Gibilterra». Il suggerimento al governo italiano è stato fatto dalla colonne della "Padania", quotidiano della Lega. Una proposta bizzarra, maturata probabilmente non nel silenzio di una biblioteca ma, conoscendo le inclinazioni di molti leghisti, tra i fumi di una birreria. Resta il fatto, però, che essa ha avuto cittadinanza sul giornale ufficiale di una forza politica dal passato, è vero, scandalosamente secessionista, ma che oggi fa parte della coalizione che governa il Paese. Ed è per questo che il «suggerimento» merita la nostra riflessione.

La prima osservazione che ci sentiamo di fare riguarda la «riduzione», senza troppi complimenti, dell'Isola al rango di «colonia». La seconda nasce dalla grossolana contraddizione che sottende la stessa proposta dal momento che si nega ad altri, nel caso specifico alla Sicilia che verrebbe senza troppi complimenti ceduta alla Spagna, il diritto all'autogoverno che è stato, guarda caso, il motivo dominante portato avanti fin dalla nascita dal movimento padano. La terza osservazione, infine, è legata alle conseguenze che si creerebbero in seguito a un eventuale provvedimento di trasferimento dell'Isola: sarebbero trasferiti anche i siciliani che hanno concorso in questi anni al benessere nelle province leghiste?

E che ne sarebbe del mercato isolano aperto oggi ai tir che quotidianamente portano i prodotti delle fabbriche del Nord?
La proposta pubblicata dalla "Padania", a ben riflettere, rispecchia in larga misura il pensiero leghista: sostanzialmente mercantile, antimeridionalista, dagli interessi circoscritti ad aree segnate non da antiche tradizioni o da particolari etnie, come si vorrebbe far credere, ma da quelle molto più concrete della ricchezza.
Questo modo di concepire la convivenza civile ha improntato fin dall'inizio la politica della Lega. Dopo percorsi diversi, superando una clamorosa rottura (si deve a Bossi la caduta del primo governo Berlusconi), il movimento, con la fine dell'emergenza finanziaria e l'ingresso dell'Italia nella Comunità economica europea, è tornato ad infoltire il centrodestra. E della Casa della libertà ne ha colto la filosofia di fondo, altrettanto utilitarista, sublimandosi alla fine in essa.
Non senza ragione pur con un elettorato ridotto (nelle ultime elezioni politiche non ha superato nel proporzionale la soglia minima prevista dalla legge) la Lega ricopre nel governo posti chiave e svolge un ruolo molto più pregnante delle altre componenti che popolano lo schieramento del Polo. Basti pensare all'impegno del ministro della Giustizia Castelli, leghista della prima ora, nel portare in porto le leggi fortemente volute dal Cavaliere o allo sforzo del ministro Maroni, da sempre il secondo nella gerarchia del movimento, nell'assecondare le esigenze confindustriali o all'insistenza dello stesso Bossi, nell'imporre, ma senza rompere, il suo confuso progetto federalista.
Non solo la Sicilia ma anche buona parte della penisola sono state sotto l'egemonia politica spagnola, una presenza che inizia nel 1560 e che si è allunga fino al 1740. Questo non lo sa il buon leghista e forse non lo sa neppure il suo capo tutto impegnato a costruirsi immaginose quanto illusorie storie di popoli. Ma tant'è, nessuno più si scandalizza. Anche noi non sappiamo o non ricordiamo tanta parte del nostro passato: il travaglio risorgimentale, la tradizione meridionalista e quella più recente autonomistica. Una lunga storia complessa e per molti versi esaltante che abbiamo rimosso sostituendola col vuoto di memoria e con una preoccupante omologazione a scelte che di fatto ci escludono quando non ci danneggiano.
Basterebbe, per avere una palpabile dimostrazione di questa condizione, seguire il comportamento dei parlamentari siciliani del Polo presenti in gran numero nel Parlamento e nel governo: tanta è attenta la delegazione isolana della Casa delle libertà, guidata da La Loggia e da Schifani, nel difendere in tutte le sedi il Cavaliere e la sua politica quanto è distratta nel rappresentare le problematiche locali fatte di emergenze e di bisogni sempre gravi e indilazionabili. Per nulla sollecitata peraltro da una Regione che ne rispecchia comportamenti e cultura, anche per la continuità politica con quella romana di gran parte dei suoi componenti.
I giudizi sulla presenza della Spagna nell'Isola sono divergenti, ma su un punto concordano. Essa garantì un lungo periodo di pace, liberò l'Isola dalla scorrerie saracene e la difese dai tentativi d'invasione da parte dell'Impero turco in quel periodo particolarmente aggressivo.
L'entusiastica adesione alla politica americana inaugurata dal nostro governo, differenziandosi o sopravanzando in questo i governi europei e in contrasto con la tradizionale politica estera dell'Italia nel Mediterraneo, ci difende oggi dal fondamentalismo islamico? A molti appare un salto nel buio dove a rischiare restiamo solo noi, i più vicini ad un mondo attraversato da tensioni e da odi sempre meno controllabili.
La proposta di ridarci indietro alla Spagna, per il semplice fatto di essere stata espressa, è motivo di amarezza. Ma, guardando gli scenari che ci stanno innanzi e confrontando la serietà spagnola con il farfallamento italiano, forse, se la carità di patria non intervenisse per bloccarci, l'idea del leghista, per quanto provocatoria, a ripensarci, non sarebbe dopo tutto da buttare via.

(Nino Alongi)


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Numero 15
marzo 2002










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