( EDITORIALE )


L'AGGRESSIONE ISRAELIANA: SUPREMA INGIUSTIZIA
di Agostino Spataro

Che cosa dovrà ancora accadere in Palestina perché si svegli la coscienza del mondo, perché si scuota la colpevole ignavia degli uomini di fronte all'aggressione sistematica perpetrata contro i Palestinesi dei Territori dal governo israeliano di unità nazionale, diretto da Ariel Sharon ?


Gerusalemme - Muro del pianto

Quanto sangue dovrà ancora essere versato e quante vittime si dovranno contare, da una parte e dall'altra, prima che sia ripreso il processo di pace ? Nessuno può prevedere il tragico percorso di questo ultracinquantennale conflitto, quante rappresaglie e odiose ritorsioni si dovranno effettuare per spegnere la sete di vendetta che sembra dilagare in questi luoghi  "santi", dove forse trova una legittimazione grazie all'antica massima "dell'occhio per occhio, dente per dente" contenuta nel Vecchio Testamento.

A proposito di luoghi "santi", qualcuno dovrebbe spiegare in che cosa consista la santità di questa terra, di questa città di Gerusalemme, la cui lunga storia (oltre 5000 anni) è un triste coacervo di guerre, di carneficine provocate da ambizioni bassamente venali e da odi razziali e religiosi, d'incendi e pestilenze ed esodi dolorosi.

Luogo-simbolo delle tre principali religioni monoteiste, e per ciò troppo caricata di valori assoluti, questa città raramente ha vissuto fasi di effettiva convivenza pacifica, di felice normalità.

Solo la figura del Cristo, vera o presunta che sia stata, si è distinta per la forza del suo messaggio di pace. Un'eccezione, dunque, tant'è che- come si racconta nei Vangeli- fu barbaramente liquidata, con l'accordo di tutti. La storia tormentata di Gerusalemme dovrebbe pur significare qualcosa, in primo luogo, per i suoi cittadini che dovrebbero di più interrogarsi sulle cause di questa condizione, davvero atipica e inquietante, e sforzarsi d'immaginare un futuro normale, basato sulla convivenza paritaria e abitato da persone uguali, non più divise in artificiose categorie: in "eletti" e in "primi dei non eletti" del Signore.

Ma torniamo ai palestinesi, alla tragedia di questo popolo, intelligente ed attivo, ancora vittima di un'ingiustizia suprema, di un'arroganza esecrabile che richiama direttamente in causa la responsabilità del governo israeliano, dominato dagli integralisti giudaici (nessuno più comprende la permanenza dei laburisti di Peres- socialista e Nobel per la Pace- in questa coalizione di reazionari) e la compiacenza cinica e calcolata dell'amministrazione Bush. E chiama in causa anche il silenzio pressoché planetario, l'abominevole silenzio di quanti vedono, sentono e si girano da un'altra parte per coprire le nefandezze di Sharon e soci o semplicemente per quieto vivere o perché subiscono la martellante influenza dei media opportunamente orientati o per non incappare nell'anatema "dell'antisemitismo", sempre pronto ad essere scagliato contro chiunque si permette di condannare il governo d'Israele.

"Antisemitismo"! E che vuol dire ? Secondo la tradizione biblica (che non è una fonte storica  verificabile), semiti sono anche gli arabi i quali, come gli ebrei, discenderebbero da Sem. Allora perché questo "privilegio" viene esclusivamente attribuito (o auto-attribuito) agli ebrei ?

Israele: un'entità "biblica"o uno Stato laico?

Nonostante i millenni trascorsi e i tragici insegnamenti della storia, in Israele si continua a ragionare e ad agire come se vivessero ancora nel mondo raffigurato nei Libri sacri; forse per questo non è stata ancora approvata una Costituzione democratica per regolare, alla luce del sole e secondo una logica laica, la vita politica e sociale del moderno Stato d'Israele. Addirittura, ancora oggi gli estremisti ebraici tracciano le mappe della loro folle pretesa di  conquista del "grande Israele" (dal Nilo all'Eufrate, tanto per capirci) sulla base dei riferimenti biblici. A parte la guerra, una fra le più gravi contraddizioni che segna lo spirito pubblico in Israele è proprio quella di sentirsi sospeso fra le conquiste più evolute dell'era cibernetica e una tradizione religiosa immutabile che guarda al passato.


Mappa sacra della Palestina

Basterebbe consultare alcuni importanti studi antropologici, di altissimo valore scientifico, per rendersi conto che semiti o camiti non c'entrano nulla, che  tutti i popoli mediterranei (compresi gli ebrei) hanno comuni basi biologiche e culturali. Personalmente, inorridisco quando sento parlare di sangue per comprovare l'appartenenza a questo o quell'altro gruppo etnico o religioso, poiché chi invoca il fattore-sangue come elemento identitario è un razzista, anche inconsapevole, che prima o poi vorrà vedere scorrere il sangue di chi considera diverso da lui. Ma se proprio di sangue si deve parlare, segnaliamo una ricerca seria, portata avanti da un gruppo di collaboratori del prof. Luigi Cavalli-Sforza, massima autorità mondiale in questo campo, la quale dimostra, anche mediante l'analisi dei gruppi sanguigni di circa 500 nuclei di popolazioni differenti viventi sulle rive del Mediterraneo (compresi gli ebrei), che "si ripete anche per i caratteri genetici quanto osservato per i caratteri morfometrici: una sostanziale omogeneità fra gruppi studiati, omogeneità che giustifica, ancora una volta, la comune denominazione di popolazioni mediterranee". (in "Le risorse umane del Mediterraneo", il Mulino,1990).

Tali esiti, d'indiscusso valore scientifico, dovrebbero sollecitare una riflessione anche sulla pretesa diversità (o unicità) degli ebrei, per altro autolimitante, che quando sconfina nel discorso religioso può giungere all'esaltazione del concetto di "popolo eletto". L'inverso di questo arbitrario concetto provoca una serie di preoccupanti conseguenze: poiché se un popolo si autodefinisce "eletto", addirittura da Dio, se ne deve dedurre che gli altri, tutti gli altri, "eletti non sono" e quindi..

Questi ed altri interrogativi e dubbi si ripropongono, soprattutto quando si vedono i carriarmati e gli F16, ornati con la stella di David, imperversare contro i campi profughi e le città palestinesi, uccidendo bambini e distruggendo case, scuole, uffici. Un'attività indegna che comincia a fare schifo anche a molti militari israeliani, definiti "traditori" dai reazionari al governo.

Tutti quelli che osano criticare o condannare l'avventurismo di Sharon vengono bollati come filo palestinesi o peggio come "antisemiti".

Pazienza. In questo momento, più che le etichette interessano i fatti concreti e le prese di posizioni verso la tragedia palestinese che rischia di sfociare nella generale disperazione di un popolo che, per quanto umiliato, non accetterà mai di essere liquidato, di essere spogliato della sua identità culturale e morale e perciò eternamente privato del suo diritto all'autodeterminazione e alla sovranità.

Il futuro degli israeliani: un eterno stato d'assedio


Tel Aviv

Anche questa, disperata condizione umana dovrebbe far riflettere i governanti d'Israele e i loro sostenitori: fino a quando dovrà durare questo clima di assedio? Gli attuali dirigenti israeliani si stanno dimostrando degli irresponsabili, prima di tutto verso i loro stessi cittadini, soprattutto verso le nuove generazioni, che stanno condannando alla guerra eterna, a vivere prigionieri fra alte barriere di reticolati, nel terrore degli attentati terroristici, del sabotaggio e un giorno chissà dell'incubo della distruzione.

Insomma, stanno programmando un tristissimo futuro per i loro figli e nipoti. Tranne che gli oltranzisti governanti del "popolo eletto" non pensino all'uso dell'arma nucleare, come rimedio estremo per porre termine alla loro pericolosa avventura.

Tutto ciò è avvenuto e continua ad avvenire in aperto spregio della volontà della comunità internazionale e delle sue istituzioni, almeno quelle ancora non infeudate dagli Usa.

Israele è l'unico Stato al mondo creato per una decisione formale delle Nazioni Unite, eppure è l'unico Stato al mondo che continua a rifiutarsi di applicare le risoluzioni dell'ONU (come dire rifiuta d'applicare la volontà del suo creatore) che impongono il ritiro da tutti i territori (palestinesi, siriani e prima anche libanesi) occupati con la forza militare ed auspicano la creazione di uno Stato libero palestinese.

Non bisogna dimenticare che i palestinesi hanno infine accettato la divisione in due della Palestina (cioè della loro terra) per insediarvi uno Stato in gran parte composto, non da nativi, ma da ebrei europei salvatisi dalle persecuzioni del nazismo e del fascismo e da altri i quali, dopo secoli e secoli di permanenza ai quattro angoli del Pianeta, desiderano mettere fine alla cosiddetta "diaspora", sempre a danno dei palestinesi ai quali si sottrae nuova terra per far posto ai nuovi coloni. 

Queste colonie, oltre ad evocare un periodo davvero funesto per la storia dell'umanità, quello appunto del colonialismo europeo che, fino alla metà del secolo scorso, ha depredato le ricchezze d'interi continenti, relegandoli nella miseria e nel sottosviluppo, rappresentano un gravissimo ostacolo ad ogni progetto di pace vera e durevole. Infatti sono sorte in contrasto con le risoluzioni dell'ONU e con l'unica funzione di costituire delle teste di ponte in vista della conquista totale dei territori occupati, perciò -se si vuole davvero la pace- dovvrebbero essere sbaraccate senza indugio.

Se questa è la politica dello Stato d'Israele, allora è un grande onore sentirsi vicini al popolo martire di Palestina, al suo leader Yasser Arafat e a tutte le forze progressiste (anche israeliane) che combattono la dura battaglia per la creazione dello Stato palestinese sovrano e per la convivenza pacifica fra i due popoli. Non credo che lo stesso orgoglio e lo stesso onore possano provare gli amici, palesi ed occulti, di Sharon, di un uomo che, nella sua lunga carriera di massacratore, annovera accuse gravissime che vanno dai crimini contro l'umanità (Libano 1982) alle attuali azioni di devastazione e di morte.

Il silenzio degli ebrei della diaspora

Dispiace rilevarlo, ma verso questo funesto individuo non si è mai levata una condanna chiara e dura da parte dei rappresentanti delle comunità ebraiche italiane, le quali ad ogni attentato terroristico anti- israeliano portato avanti dai gruppi più estremisti palestinesi, chiedono ed ottengono solidarietà ai massimi livelli della politica e delle Istituzioni democratiche italiane.                                                                                

Dimenticando che è Israele ad occupare, da 36 anni, i Territori dei palestinesi e il Golan siriano e non viceversa. Perciò è inaccettabile mettere sullo stesso piano di responsabilità occupanti e vittime dell'occupazione militare.

Su Sharon si tace, mentre a Roma si è corsi a gridare "assassino" all'indirizzo del giovane presidente siriano Bachir Assad, alla cui persona non si possono imputare crimini di sorta. Tranne che si consideri crimine la sacrosanta rivendicazione di riacquistare un pezzo di territorio siriano, il Golan, dal 1967 occupato dall'esercito israeliano e dalle numerose colonie ebraiche. Per gli smemorati, si ricorda inoltre che, dalle alture del Golan, si possono "ammirare" le rovine della città siriana di Kuneitra occupata, violentata e rasa al suolo con la dinamite dagli israeliani che, nella loro furia distruttiva, non hanno risparmiato nemmeno le moschee e la chiesa cristiana.

In questa occasione, anche l'ambasciatore israeliano, Ehud Gol, si è abbandonato a dichiarazioni davvero smodate per un diplomatico, fino al punto da costringere il Direttore generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente della Farnesina, amb. Antonio Badini, a convocare il diplomatico israeliano per esprimergli formalmente- come è scritto in un comunicato ufficiale del 20 febbraio 2002-  "disapprovazione per le dichiarazioni attribuite dalla stampa all'Ambasciatore in relazione alla visita in Italia del Presidente siriano Bashar al- Assad."

E qui mi fermo. Poiché la nostra non vuole essere una sterile ripicca, ma la sollecitazione di un giudizio equanime, obiettivo come dovrebbe essere sempre quello di chi ama la pace e lavora per la solidarietà fra tutti gli uomini e le donne della terra, senza distinzione alcuna né di razza, né di religione, né di "elezione", come si conviene ad un Paese libero e civile, qual è l'Italia, la cui Costituzione si fonda sull'antifascismo e sulla laicità. Vorremmo che tutti i veri democratici, tra cui sicuramente la gran parte dei membri delle comunità ebraiche italiane, riflettessero, con animo scevro dalle contrapposizioni religiose, sulla tragedia che si sta consumando in Palestina ed insieme si facesse qualcosa, per offrire anche un piccolo contributo alla pace che è l'unica condizione per garantire un futuro, una vita normale ai palestinesi e agli israeliani.

Agostino Spataro


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Numero 15
marzo 2002










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