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( ANALISI )


Il Maghreb nel partenariato euro-mediterraneo

di Dario Giardi

INTRODUZIONE


Manifesto della Conferenza euromediterranea
di Barcellona - 1995

Cos’è il partenariato euromediterraneo? Cosa è stata, e quanto è durata, la politica mediterranea della CEE? A cosa è servita questa e che cosa comporterà quello? Sono queste le domande cui questo lavoro cerca di rispondere, prestando particolare attenzione ai rapporti con il Maghreb. Esso copre brevemente la storia della politica mediterranea dalla nascita della CEE fino al novembre 1995, quando, con la Conferenza di Barcellona e la nascita del partenariato, si è deciso di costruire un nuovo quadro di cooperazione che prevede la creazione di un’area di libero scambio entro il 2010.

La Conferenza di Barcellona ha aggiunto due capitoli: la cooperazione in materia politica e di sicurezza e in materia sociale e culturale. Tuttavia, seguire il filone economico offre il vantaggio di ripercorrere la logica della vecchia politica mediterranea, e permette quindi, di capire l’importanza degli altri due aspetti e le priorità per il futuro.

La Convenzione di Barcellona (28-29 novembre 1995), ha visto la partecipazione della UE, con i suoi 15 Stati membri, e di altri dodici Stati rivieraschi del Mediterraneo.

La Conferenza euromediterranea di Barcellona del 1995 ha evidenziato che, da parte europea, esiste una volontà nuova di incamminarsi verso una forma di cooperazione più stretta con i paesi della riva sud del mediterraneo.

Nella Conferenza sono emersi una serie di problemi a cui l’Unione Europea ma anche i paesi della riva sud del Mediterraneo dovranno far fronte.

Le grandi spinte demografiche provenienti specialmente dai Paesi del Maghreb, dovranno essere equilibrate con una crescita economica di pari intensità, altrimenti non sarà possibile evitare gravi squilibri.

Il piano previsto dalla Convenzione, per promuovere e sostenere la crescita economica, poggia su tre pilastri: intensificare il ritmo di sviluppo socioeconomico, migliorare le condizioni di vita e promuovere la cooperazione. Questi tre pilastri saranno attuati gradualmente attraverso: un sistema di agevolazioni commerciali che consentano l’accesso per i prodotti industriali dei Paesi terzi mediterranei, una cooperazione finanziaria sempre più stretta attuabile attraverso il graduale sviluppo di un’area euromediterranea di libero scambio (MEFTA) prevista per il 2010.

Un importante aspetto messo in luce nella Conferenza di Barcellona riguarda il quadro energetico del Mediterraneo. Lo squilibrio di consumo energetico che si produrrà nei prossimi anni tra il Nord e il Sud del Mediterraneo sarà notevole. Le popolazioni della riva sud aumenteranno vertiginosamente; la loro richiesta di consumo energetico quindi, aumenterà di pari passo. Qualche passo avanti è stato già fatto con la costruzione di alcuni gasdotti. Negli ultimi anni la Comunità Europea ha intensificato gli strumenti atti a realizzare una cooperazione nel settore energetico un esempio per tutti è il Progetto EMATLIE. 

 

CAPITOLO PRIMO

L’Europa, il Maghreb e la politica mediterranea

 

1.1 Un breve quadro storico della politica mediterranea della CEE

Dalla nascita della Comunità Europea nel 1957 passano dodici anni prima di giungere alla firma dei primi accordi commerciali con il Maghreb e gli altri Paesi mediterranei, nel 1969. In questo periodo però le relazioni bilaterali non languiscono del tutto, perché la Francia ha ottenuto che il Trattato istitutivo della Comunità Europea preveda un’associazione cosiddetta “economica” del Marocco e della Tunisia, divenuti indipendenti nel 1956, mentre l’Algeria continua a far parte della stessa Francia, da cui si distaccherà solo neI 1962.

E’ piuttosto il vertice di Parigi dei Capi di Stato e di Governo della CEE del 1972 a parlare per la prima volta di un approccio mediterraneo globale, facendo della politica mediterranea e del concetto di globalità una coppia fin dall’inizio indivisibile quanto difficile da realizzare. Da una parte infatti viene deciso di creare un’area di libero scambio fra l’Europa ed il Mediterraneo, per favorire lo sviluppo dell’area, ma dall’altra gli accordi conclusi a questo fine sono molto deludenti. Prova ne è che i trattati di cooperazione firmati nel 1976 e ratificati nel 1978 non corrispondono più all’idea originaria di un quadro completamente basato sul libero scambio, poiché concedono solo alcune facilitazioni per il libero accesso dei prodotti industriali e per un innalzamento dei contingenti sui prodotti agricoli, con limitate misure di cooperazione allo sviluppo. Quindi, malgrado le intenzioni di globalità, la politica mediterranea si riduce ad una mera politica commerciale, completata da un’esigua assistenza finanziaria e tecnica allo sviluppo. Così già nel 1980 si poteva notare che gli accordi stipulati [...] dalla Comunità [...] ) con il Maghreb […] sono parsi qualcosa di marginale, di anacronistico, di vetusto. Si tratta in effetti di accordi puramente commerciali con una modesta appendice finanziaria, accordi che non sfiorano neppure la soglia della cooperazione economica globale nei suoi molteplici aspetti ”.[1]

Infatti la cooperazione con il Maghreb è limitata da una parte dalle esigenze della politica agricola comune (PAC) e dall’altra dallo scarso coordinamento dei contributi finanziari degli Stati membri. Ciò comporta una certa delusione da parte dei Paesi terzi mediterranei (PTM), e specialmente di quelli maghrebini, che nel funzionamento degli accordi assistono anche al fallimento dei Consigli di cooperazione, cioè dei Consigli paritetici, a livello di funzionari ed ambasciatori, che pur dotati di potere decisionale al fine di approfondire l’integrazione, non hanno mai svolto alcuna reale funzione di indirizzo politico.

E’ quindi dalla fine degli anni ‘80 che la debolezza della politica mediterranea inizia ad essere avvertita come un problema sempre più urgente, soprattutto da parte del Comitato Economico e Sociale (CES), l’organo della Comunità che rappresenta gli ambienti economici e sociali europei.

Proprio il Comitato, dal 1989, inizia così ad approvare alcuni rapporti sulla Politica Mediterranea che lentamente cambiano la visione comunitaria in materia. In queste relazioni, redatte su ini­ziativa di un membro italiano, Andrea Amato, si inizia a perce­pire la realtà mediterranea non come un problema contingente, ma piuttosto come una realtà che va affrontata in un’ottica di cooperazione e d’integrazione di lungo periodo. La prospettiva più preoccupante è quella di un Mediterraneo che per effetto della crescita demografica si appresta a cambiare radicalmente volto nei prossimi anni. Il futuro capovolgimento della situazione demografica e i numerosi problemi accumulati nel bacino del Mediterraneo (ambientali, politici, economici) impongono allora di ripensare completamente la politica mediterranea, e soprattutto di portare l’Europa ed il Mediterraneo verso un nuovo modello di sviluppo, complementare e sostenibile.

Dall’esigenza di ristrutturazione posta dal CES, e dalla sua proposta di cosviluppo, nasce allora un dibattito che porta pri­ma ad una limitata riforma nel 1992 della politica mediterranea che viene dotata degli appositi “Programmi MEDA”, e che prosegue fino alla Conferenza di Barcellona del 1995, che istituisce un “partenariato” euromediterraneo basato sulla cooperazione nei settori politico, economico e culturale.

Da Barcellona esce perciò un quadro che vuole essere completamente nuovo e che vuole portare ad una trasformazione decisiva dello spazio euromediterraneo, anche con la creazione entro il 2010 di un’area di libero scambio, edificata nel rispetto delle norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

1.2 Il Maghreb nell’evoluzione della politica mediterranea

Nell’arco di tutta la trasformazione della politica mediterranea, che è ancora di là da concludersi, il Maghreb ha giocato sempre un ruolo da protagonista, proponendosi di continuo come il banco di prova per la politica mediterranea in ogni sua forma. Tutt’oggi, esso costituisce il primo referente per il partenariato, in quanto i Paesi maghrebini per tradizione sono estremamente interessati e coinvolti nelle vicende europee.

L’interrelazione fra l’Europa ed il Maghreb, tuttavia, è sempre stata accompagnata da numerose percezioni fallaci, da una parte e dall’altra, che hanno avuto un peso non irrilevante nel fallimento della vecchia politica mediterranea, anche nella sua versione “rinnovata”. Il partenariato attuale, al contrario, rappresenta una tendenza verso il ristabilimento di percezioni realistiche che, tornando alla realtà dei rapporti euromediterranei, faccia prendere atto dei molteplici legami economici e sociali, che ora vivono senza un efficace controllo politico, e permetta di avviarsi verso il progetto di cosviluppo, e cioè, secondo quanto auspicato dal CES, di una concertazione nella comune crescita economica e sociale.

Per capire il partenariato, i suoi motivi ed i suoi difetti, è quindi necessario liberarsi di numerose percezioni ingannevoli, e la prima fra tutte è senz’altro quella che fa vedere l’Europa ed il Maghreb, o peggio, il Mediterraneo, come realtà solide, monolitiche ed omogenee.

E’ vero infatti che “Maghreb”, in arabo, vuol dire “Occidente arabo”, ma è anche vero che i Paesi che lo compongono intendono questa collocazione geografica in maniera diversa. Il Maghreb qui preso in considerazione (Algeria, Tunisia e Marocco), infatti, è il “Piccolo Maghreb”. ma nel quadro rientrano anche la Libia e la Mauritania, che sono elementi essenziali dei contesto geopolitico locale e concorrono a formare con gli altri tre il “Grande Maghreb”. Inoltre va detto che storicamente i cinque Paesi hanno sempre intrattenuto relazioni estremamente mutevoli e spesso anche molto tese. A tutt’oggi il quadro delle alleanze locali è decisamente frastagliato, e si può dire che in passato quasi tutte le possibili combinazioni di alleanze siano già state tentate.

A causa di queste numerose tensioni si deve anche ridimensionare l’importanza dell’Unione del Maghreb Arabo (UMA), nata nel febbraio dei 1989,[2] che troppo facilmente è stata scambiata per un corrispettivo della CEE. L’Unione non può essere confusa assolutamente con il sistema comunitario, che pure ha tentato di imitare, soprattutto perché è nata in seguito ad incontri diplomatici e governativi che sono rimasti lontani dal concreto tentativo di realizzare una vera integrazione maghrebina.

La seconda percezione ingannevole che riguarda il Maghreb, è che questo costituisca un’unità solida anche dal punto di vista economico. Piuttosto, è vero esattamente il contrario, e si rimane stupiti dalla ricostruzione dei flussi commerciali, come mostrato nella seguente tabella:

Tabella 1 - Flussi del commercio intramaghrebino sul totale degli scambi (1998)

 

Esportazioni

Importazioni

 

Volume Exp. Verso Paesi Maghreb (mln ECU)

Volume Totale Exp. (mln. ECU)

Incidenza Exp. Area Maghreb/Totale Exp. (%)

Volume Imp. Verso Paesi Maghreb (mln. ECU)

Volume Totale Imp. (mln. ECU)

Incidenza Imp. Area Maghreb/Totale Imp. (%)

Algeria

118,0

7.143,0

1,6

61,8

6.532,0

0,95

Libia

16,8

6.793,0

0,25

178,2

6.225,0

2,86

Marocco

158,0

3.623,0

4,4

56,0

4.766,0

1,2

Mauritania

3,5

45,0

0,8

9,5

518,0

1,8

Tunisia

105,6

2.309,0

3,9

140,5

3.557,0

3,9

Totale

402,0

20.324,0

1,98

446,0

21.590,0

2,06

Fonte: Sehimi Mustafa, “Modéles et stratégìes au Maghreb”, in Reynaud Christian e Abdelkader Sid Ahmed, L’avenir de l’espace méditerranéen, Paris, Crédit Mutuel Médìterranéen ­Publisud, pagg. 105-114

L’immagine è molto chiara: i Paesi maghrebini non arrivano a commerciare tra di loro nemmeno per il 5% del totale degli scambi, analogamente, del resto, agli altri Paesi del Bacino, ed inoltre questa piccola porzione è ulteriormente frammentata negli scambi fra paese e paese, anche a causa delle controversie politiche (perché spesso un paese ne esclude volutamente un altro dal proprio commercio estero).

Tale frammentazione, tuttavia, è controproducente, perché ri­duce le possibilità di crescita concertata, anche considerando che i singoli Paesi hanno ognuno una certa predisposizione alla col­laborazione regionale.

Il risultato è che ancora oggi l’unificazione e la cooperazione economica maghrebina appaiono come delle chimere, anche per la situazione algerina, e questo è senz’altro una grossa ipoteca sul futuro del partenariato nei suo complesso, perché il Maghreb potrebbe essere la regione ideale per avviare la concertazione prevista dal partenariato.

Di conseguenza, lo smussamento delle asperità diplomatiche, e la promozione della stabilizzazione interna, vanno senz’altro collocate come priorità dell’azione politica europea, se si vuole che l’iniziativa del partenariato possa attecchire e svilupparsi.

 

CAPITOLO SECONDO

L’economia delle due sponde fra conflitto e cooperazione

 

2.1  I prodotti industriali ed il peso della “Fortezza Europa”

La situazione di frammentazione politica di cui risente il Maghreb si riflette negli scambi reciproci, ma anche negli scambi con l’Europa. E’ proprio da questi, anzi, che si vede come i rapporti tra le due sponde siano molto più profondi di quanto non si immagini, e che uno sviluppo del Mediterraneo non può che configurarsi come uno sviluppo complessivo, che accanto alla trasformazione del Maghreb e degli altri partner mediterranei comprenda anche una trasformazione interna dell’Europa.

Prima di tutto, il fatto che circa il 50% del commercio estero dei Paesi del Maghreb è realizzato solo con la Comunità Europea, fornisce la misura esatta del tipo di dipendenza esistente, che vale non solo per il Maghreb, ma anche per gli altri Paesi della sponda meridionale ed orientale del bacino Mediterraneo, con le sole eccezioni della Turchia e di Israele.

Nel corso degli anni ‘80 la specializzazione del Marocco e della Tunisia nel tessile-abbigliamento, aveva portato ad un aumento considerevole delle esportazioni verso l’Europa, facendo leva proprio sulle disposizioni previste dagli accordi che, alfine di permettere lo sviluppo industriale maghrebino, concedevano il libero accesso ai prodotti dell’industria. Per il Maghreb era previsto inoltre anche il “cumulo delle norme d’origine”, cioè la possibilità di estendere il libero accesso anche ai prodotti fabbricati con più passaggi nei vari Paesi maghrebini. per cui l’aumento delle esportazioni avrebbe potuto facilitare concretamente l’integrazione economica regionale.

Di fronte al successo delle manifatture tessili, però, la Comunità ha reagito con la chiusura commerciale più comune fra quelle nate negli anni ‘80: l’imposizione di “limitazioni volontarie delle esportazioni” (meglio note nell’acronimo inglese VERs-Voluntary Export Restraints). Queste limitazioni, lontane dall’essere volontarie, sono state attuate di fatto per mezzo di pressioni politiche e diplomatiche, convincendo i Paesi espor­tatori ad applicare misure restrittive verso i produttori interni, ma lasciando che formalmente queste apparissero spontanee. Tale politica tuttavia ha avuto delle conseguenze nefaste sia sugli scambi internazionali che sulla politica industriale dei Paesi maghrebini: infatti da questo momento in poi i soli prodotti industriali che sono potuti entrare nella Comunità senza incontrare sanzioni sono stati i semilavorati, che non essendo, appunto, “lavorati”, non acquisivano la nazionalità del paese esportatore maghrebino. In questo modo però i trattamenti finali, invece di essere effettuati nel Maghreb, venivano effettuati in Europa, con il risultato complessivo che a fronte di una riduzione del commercio internazionale fra le due rive i produttori europei aumentavano i profitti, lucrando sul lavoro aggiunto in Europa, e i Paesi maghrebini restavano a monte del processo produttivo europeo.

Nel corso degli anni ‘80, quindi, si è realizzata di fatto una vera e propria forma di neocolonialismo, anche se questa è stata imposta con strumenti giuridici apparentemente paritari e concordati.

2.2  Gli scambi agricoli ed il peso della PAC

Come si è detto, circa la metà delle esportazioni maghrebine verso la Comunità Europea riguarda prodotti industriali. Cosa dire dell’altra metà? Sarebbe riduttivo dire che si tratta di pro­dotti agricoli. Per l’Algeria questo sicuramente non è vero, dato che deve importare quasi tutto il proprio fabbisogno alimentare, per il quale ogni anno spende circa un quarto dei propri introiti petroliferi (che ammonta a $6 miliardi circa). Per la Tunisia ed il Marocco, invece, si può dire che una parte consistente degli scambi inclusi in questa metà del commercio totale riguardi proprio i prodotti agricoli, dato che entrambi questi Paesi hanno sviluppato un discreto settore di coltivazioni da esportazione.

 In realtà però esaminare i livelli assoluti delle esportazioni agricole non e molto utile, perché queste sono state sempre controllate, e praticamente mai abbandonate al libero gioco del mercato. Infatti proprio gli accordi entrati in vigore nel 1978 avevano istituito una chiara distinzione: da una parte i prodotti industriali, che godevano del libero accesso nella Comunità, e dall’altra i prodotti agricoli, che potevano entrare solo nel limite di determinati contingenti, tariffe e calendari. Già dal 1969, però esistevano precisi accordi commerciali in materia, e prima di questi la stessa nascita della CEE nel 1957 era stata accompagnata contestualmente dalla previsione di regole specifiche per il commercio con la Tunisia ed il Marocco. Dal 1957 in poi, quindi, gli scambi agricoli sono stati irreggimentati, e negli accordi del 1976 la Comunità aveva addirittura imposto una clausola secondo la quale essa avrebbe potuto modificare unilateralmente il regime applicabile ai prodotti agricoli[3], formalmente tenendo conto degli interessi dell’altra parte, ma di fatto assicurandosi la possibilità di difendere i vantaggi concessi ai propri agricoltori tramite la PAC. Dal 1976, quindi, era ormai istituzionalizzata la distinzione tra prodotti agricoli e prodotti industriali, e mancava per l’agricoltura quel baluardo che, seppure formale, proteggeva l’industria con la previsione de] libero accesso. Le conseguenze di questa asimmetria, però, non si sono fatte attendere.

Analogamente a quanto accaduto per i prodotti industriali, infatti, appena i Paesi maghrebini hanno sviluppato un vantaggio competitivo la Comunità ha provveduto ad intervenire con pratiche restrittive, facilitate queste dalla protezione della PAC summenzionata. La cosa più grave è piuttosto che con ciò è avvenuto anche quando g]i scambi sono restati all’interno dei contingenti previsti, colpendo così le possibilità stesse di sfruttamento delle potenzialità di sviluppo esistenti nel Maghreb. Un momento decisivo di questo processo è stato il secondo allargamento della Comunità agli Stati iberici, avvenuto nel 1985, che ha fatto raggiungere  l’ autosufficienza alimentare alla CEE e ha tagliato fuori dal mercato i prodotti mediterranei di prove­nienza extracomunitaria[4].

La tabella qui riportata espone chiaramente quello che ha significato per la Comunità, e di converso per il Maghreb, l’entrata della Spagna e del Portogallo:

Tabella 3 - Tassi di auto-approviggionamento agricolo nella CEE ( %)

 

CEE (9 Stati Membri)   %

CEE (12 Stati Membri)   %

Frutta Fresca e Trasformata

78

95

Arance

47

86

Mandarini e Altri Piccoli Agrumi

39

96

Legumi Freschi e Trasformati

92

100

Patate

98

99

Pomodori

93

99

Vino

108

112

Olio d'Oliva

84

100

Fonte: Aliboni Roberto, in “Alcune riflessioni sugli effetti che riguardano i Paesi mediterranei ‘terzi’ come conseguenza dell’allargamento della CEE nell’Europa meridionale”, in La politica mediterranea della CEE, Atti del Convegno Internazionale organizzato dal Seminario di Studi Politici e Sociali dell’Istituto Universitario Orientale, Napoli, 28-29 / 3/1980, Editoriale Scientifica, Napoli.

Il raggiungimento, e superamento, dell’autosufficienza alimentare, hanno portato ad un rapido deterioramento della si­tuazione, costringendo i Paesi più danneggiati, quali la Tunisia ed il Marocco, a ristrutturare il sistema agricolo interno per adattarsi alle nuove esigenze. In particolare è nata l’esigenza di trarre di più dalla ridotta disponibilità della Comunità verso le importazioni di prodotti agricoli, e ciò ha indotto le grandi aziende maghrebine a riconvertirsi alle colture pregiate da esportazione: in particolare pomodori, cetrioli, peperoni, zucchine, fragole e ciliegie.

Parallelamente alla riconversione all’esportazione, inoltre, i produttori maghrebini hanno volutamente lasciato da parte il mercato interno, e questo ha aggravato la dipendenza alimentare, giungendo al paradosso di avere un’agricoltura da esportazione avanzata, accanto ad un’agricoltura di sussistenza ancora gravemente arretrata (sdoppiamento delle filiere [5]).

Contemporaneamente, proprio il sistema di produzione in surplus indotto dalla PAC ha fatto sì che la Comunità vendesse all’estero la sua produzione in eccesso, però in perdita, e cioè a prezzi più bassi di quelli mondiali, incentivando così ancora di più l’abbandono del mercato interno da parte dei Paesi della sponda meridionale. Un dato in particolare riassume i risultati paradossali di questo processo: il fatto che quasi tutto il cuscus maghrebino, il piatto tipico della regione, è prodotto con grano europeo.

E’ necessario puntualizzare, però, che anche i Paesi maghrebini hanno le loro responsabilità per la situazione attuale. Infatti, dal conseguimento dell’indipendenza in poi (dal 1956 per la Tunisia ed il Marocco, dal 1962 per l’Algeria) i Paesi del Maghreb hanno avviato delle politiche d’industrializzazione decisamente sostenute, basate sulla sopravvalutazione del cambio, per facilitare l’importazione dei beni di produzione e pagare meno, in termini reali, le importazioni alimentari. Inoltre la politica di concentrazione urbana, seguita allo sviluppo industriale, ha indotto gli Stati maghrebini, e tutti i Paesi arabi del bacino, a calmierare i prezzi dei prodotti agricoli per avvantaggiare la popolazione urbana, ma scoraggiando così gli agricoltori dall’espandere la propria attività. A questo si è sommato poi lo scarso interesse per gli investimenti nella produttività agricola, che ha relegato l’agricoltura in secondo piano. La PAC è stata sicuramente non positiva per lo sviluppo degli Stati maghrebini, ma non più di scelte politiche locali che solo di recente si è iniziato a criticare ed a cambiare.

Il Maghreb, quindi, è finito in una situazione di dipendenza alimentare dall’Europa, sia a causa di scelte proprie, sia a causa di scelte operate all’interno della Comunità europea. E’ esatta però l’opinione comune secondo cui i prodotti agricoli di provenienza maghrebina minacciano i Paesi mediterranei della Comunità? In realtà, anche qui c’è una convinzione sbagliata da sfatare, ed una serie di paradossi quasi invisibili. Il dato centrale di cui occorre rendersi conto è che i prodotti mediterranei non sono coltivati solo nel Mediterraneo, ma, oltre che nel resto del mondo, anche nell’Europa settentrionale, che, anzi, ha sviluppato artifi­cialmente alcuni vantaggi competitivi proprio nella coltivazione e commercializzazione di questo genere di prodotti. La “legge del prezzo unico”, infatti, che stabilisce in Europa che un unico prezzo si applichi allo stesso prodotto agricolo, ha azzerato le differenze di prezzo determinate dalle varie efficienze produttive, mentre i sussidi della PAC concessi agli agricoltori hanno reso possibile innovazioni tecnologiche ed agronomiche impossibili in un contesto di concorrenza: così, per esempio, nei Paesi Bassi ed in Germania i pomodori sono coltivati nelle serre a gas, mentre il Belgio, con tecniche del genere, è diventato addirittura il primo esportatore di pomodori all’interno della Comunità.

Dall’altro lato, però, le specializzazioni produttive tradizionali del Nord, come il latte, la carne ed i prodotti derivati, non si sono estese alle altre regioni, per cui da una parte c’è oggi una competizione a tre per i prodotti mediterranei (Europa del Nord, Europa del Sud e Paesi partners), mentre dall’altra la produzione lattiero-casearia è di fatto a senso unico: dal Nord verso tutto il Mediterraneo[6].

Un’altra realtà interessante è che, a prescindere dalle frontiere e dai vantaggi specifici che la PAC concede agli agricoltori europei, nelle grandi linee i problemi economici del Mediterraneo sembrano tipici di tutti gli Stati che vi si affacciano, comunitari o non. In tal senso la “questione meridionale” italiana, ma anche l’arretratezza dell’Andalusia in Spagna, del Midi in Francia e dell’intera Grecia, appaiono come capitoli di una più generale “questione mediterranea”, che richiede un progetto complessivo e integrato.

Era anche sulla base di questa consapevolezza che il Comitato Economico e Sociale, nelle sue relazioni sulla politica mediterranea, proponeva già nel 1989 il cosviluppo, quale strategia di crescita comune e concertata capace di utilizzare strumenti uguali per risolvere problemi simili in più Stati diversi, criticando così contemporaneamente l’impostazione della politica mediterranea. Di conseguenza, solo ripercorrendo i motivi del fallimento di quest’ultima sarà possibile capire lo spirito del partenariato, e l’orizzonte in cui questo si muove.

 

CAPITOLO III

Gli accordi della nuova era e le linee strategiche 2002-2006 del Partenariato euro-mediterraneo con riferimento ai Paesi del Maghreb.

 

3.1 Gli accordi della nuova era ed il loro ruolo nel partenariato

L’avvio del partenariato è stato segnato fra le altre novità anche dalla conclusione di nuovi accordi con i paesi della sponda sudorientale, definiti euromediterranei, che, essendo accordi di associazione, rappresentano un legame politico ed economico rafforzato rispetto ai vecchi Accordi di cooperazione.

Il primo paese a concludere i negoziati, ed a firmare un nuovo trattato, è stato la Tunisia, nel luglio del 1995, seguita dal Marocco a dicembre. Anche Israele e l’Autorità Palestinese hanno firmato un trattato, ma non essendo l’Autorità uno Stato, nel suo caso si è concluso un accordo interinale. Con l’Egitto, la Giordania ed il Libano le trattative sono giunte invece ad uno stadio avanzato, mentre con l’Algeria e la Siria i contatti sono ancora al livello dei colloqui esplorativi.

In che rapporto stanno i nuovi accordi con il partenariato? In teoria si tratta di un rapporto molto stretto, ma è esistita ed esiste tuttora una certa sfasatura tra il meccanismo del processo di Barcellona e la negoziazione degli accordi. Il trattato con la Tunisia, infatti, è stato firmato nell’estate del 1995, quattro mesi prima della Conferenza, mentre quello con il Marocco è giunto a dicembre, appena un mese dopo la sua conclusione. Chiaramente, quindi, i negoziati hanno seguito una cronologia indipendente dalla dichiarazione.

Inoltre, lo spirito della dichiarazione e degli accordi è intimamente diverso se non opposto: i trattati sono infatti vincolanti e bilaterali, mentre la dichiarazione non è vincolante ma è multilaterale. Sembra quindi che ci sia un elemento di dissonanza, nonché d’incertezza nell’intero sistema.

Se si guarda poi alle disposizioni contenute nei vari accordi, si vede che queste non sono innovative quanto ci si aspetterebbe, e che il modo in cui attuano il libero scambio è del tutto particolare. Infatti, il libero scambio previsto vale unicamente per i prodotti industriali, anche se con reciprocità, mentre per i prodotti agricoli rimangono i regimi restrittivi delle quote e dei calendari, con incrementi modesti. Tutto ruota attorno alle norme del GATT[7] e ai livelli tariffari stabiliti con l’Uruguay Round, conclusosi con l’atto di Marrakesh il 1 aprile 1994. In particolare, le tariffe riguardanti i prodotti industriali sono adottate come punto di partenza per la liberalizzazione, mentre quelle riguardanti i prodotti agricoli sono indicate come punti di arrivo.

Un elemento di asimmetria rispetto alla cautela nella libe­ralizzazione, inoltre, è il fatto che i paesi mediterranei si impe­gnano ad uniformare la propria legislazione in materia di concor­renza a quella europea, con il risultato che sistemi economici diversi si troveranno regolati da sistemi giuridici identici. Questo rischierà di creare in futuro una serie di problemi, e soprattutto di mettere a rischio l’esistenza di numerose imprese della sponda sud. Uno studio della organizzazione imprenditoriale tunisina, ad esempio, ha calcolato che su 8000 imprese 2000 falliranno, 2000 saranno in serie difficoltà e solo le ultime 2000 saranno in grado di sostenere ad armi pari la concorrenza[8].

L’asimmetria più grande, tuttavia, consiste nella differenza tra la natura della liberalizzazione, che avviene in modo immediato con un processo di abrogazione delle norme restrittive degli scambi, e la lentezza, ed incertezza, del processo di ristrutturazione. In proposito, è preoccupante vedere come né i politici né i commentatori facciano caso al fatto che la scadenza del 2010 è ormai fissata, e che questa si avvicina inesorabile senza riguardo per i dubbi ed i tentennamenti né dell’Unione, né dei partners. Se però si dovesse giungere ad un rinvio, o ad un annacquamento del libero scambio, già ora limitato ai prodotti industriali, il segnale di sfiducia sarebbe molto forte, e di certo il partenariato non potrebbe più procedere verso il cosviluppo, cioè una concertazione più approfondita dell’attuale.

I singoli accordi, quindi, avviano il libero scambio con alcuni preoccupanti elementi di squilibrio, che rischiano di aggravarsi se non si procederà a quella maggiore saldatura economica, sociale ed istituzionale, che è il vero obiettivo del partenariato.

3.2 Linee stategiche 2002-2006

 

Tunisia


Tunisi

La Tunisia è uno dei principali Stati partecipanti al “Processo di Barcellona”, essendo stato il primo Paese mediterraneo a firmare un Accordo di Associazione con l’UE nel 1995. L’apertura dell’economia derivata dalla stipula di tale Accordo, ha portato il governo tunisino a confrontarsi con l’esigenza di operare una transizione democratica ( per meglio conformarsi e dialogare con le democrazie europee). A livello economico diventa indispensabile aumentare la crescita export-led cercando anche di promuovere gli investimenti di aziende tunisine così da non rendere il paese  troppo dipendente dall’export proveniente dall’estero.

L’apertura dell’economia verso i mercati esteri europei porterà il Paese a far fronte alla concorrenza internazionale specialmente nei settori manifatturiero e  del turismo. Da qui l’esigenza che sorgerà per il governo di diversificare il più possibile la struttura dell’economia. Tutti questi obiettivi saranno agevolati in parte dai finanziamenti europei provenienti dal programma MEDA.

Programma Indicativo Nazionale 2002-2006

Una delle priorità del governo algerino è come si è visto sopra il rafforzamento dei contatti con l’Occidente, concentrando l’attenzione sull’UE, principale partner per l’export. L’apertura ad occidente porterà la Tunisia ad una transizione democratica forte, pur essendo già uno dei Paesi arabi più liberali. Primo obiettivo è quindi quello di un rafforzamento della democrazia, delle istituzioni, dell’edificazione di una società libera, pluralista basata sui valori tipici delle democrazie occidentali: libertà, tolleranza e rispetto dei diritti dell’uomo. Questa crescita democratica andrà di pari passo con una crescita economica trainata dalle esportazioni e con la formazione di risorse umane qualificate che potranno trovare con più facilità lavoro diminuendo così la disoccupazione, uno dei problemi più grandi della Tunisia.

La risposta strategica  dell’Unione europea 2002-2006

La risposta si incentrerà sui seguenti punti:

  • Messa in atto di fatto dell’Accordo di Associazione, firmato nel 1995 ed entrato in vigore nel 1998, attraverso una serie di riforme per modernizzare l’economia e le strutture del paese.
  • Regolamentazione della Dichiarazione di Agadir del 2001 tra Marocco, Egitto, Giordania e Tunisia per la creazione di un area di libero scambio tra i Paesi arabi mediterranei.
  • Riforma democratica per garantire una crescita economica duratura e continua.
  • Crescita economica spinta dallo sviluppo di un commercio sud - sud per evitare la totale dipendenza di questi paese verso l’UE.
  • Valorizzazione e formazione delle risorse umane

Principali settori destinatari dei finanziamenti UE

I finanziamenti MEDA ed i prestiti BEI si sono incentrati nello sviluppo del settore privato cercando di promuovere anche investimenti esteri nel Paese. Molta attenzione è stata rivolta al problema della formazione delle risorse umane per migliorare la competitività di tali risorse 54M€. Investimenti italiani in corso riguardano il settore tessile e agro-alimentare in coordinazione con l’UNIDO.

Anche nel settore dell’educazione i prestiti italiani sono stati e sono tuttora  abbastanza consistenti.

 

Marocco

Introduzione


Rabat - Boulevard

Il problema principale del Marocco è quello di attuare una forte crescita economica per far fronte alla povertà dilagante nel Paese. Crescita economica che dovrà poggiarsi su una forte sicurezza e stabilità interna. Per questo si rende necessario il miglioramento del sistema sociale e l’aumento dell’efficienza del settore pubblico.

 

Programma Indicativo Nazionale 2002-2006

Per il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra, il Marocco ha messo in atto il Piano di sviluppo economico e sociale 2000-2004 che è stato adottato nel 2000.

Tale Piano di sviluppo prevede il rafforzamento delle relazioni con l’UE, come mezzo prioritario per invertire l’equazione: disoccupazione – povertà – migrazione, ed uno sviluppo interno alla regione per aumentare gli investimenti.

La risposta strategica  dell’Unione europea 2002-2006

La risposta si incentrerà sui seguenti punti:

  • Messa in atto di fatto dell’Accordo di Associazione firmato nel 2000, attraverso una serie di riforme, per modernizzare l’economia e le strutture del paese.
  • Regolamentazione della Dichiarazione di Agadir del 2001 tra Marocco, Egitto, Giordania e Tunisia per la creazione di un area di libero scambio tra i Paesi arabi mediterranei.
  • Attuazione della Dichiarazione del Marocco del 2000 con la quale il Paese ha manifestato la volontà di rinforzare le relazioni con l’UE.
  • Coordinamento del programma di finanziamenti comunitari MEDA con il Piano quinquennale di sviluppo  2000-2004 portato avanti da alcuni finanziatori privati interni.

Principali settori destinatari dei finanziamenti UE

Molti presti BEI si stanno indirizzando verso il settore alimentare in particolare modo nell’assistenza verso i centri abitati più piccoli. Ingenti investimenti di circa 80M€ si stanno indirizzando ai fondi agricoli e all’opera di bonifica di alcune zone della Regione. L’Italia sta preparando una serie di interventi nel settore della promozione del patrimonio culturale ed archeologico del Marocco e su una campagna di sensibilizzazione per quanto riguarda il problema dell’inquinamento marino e della gestione integrata delle coste. Anche il settore socio sanitario ha ricevuto prestiti italiani in particolare verso l’educazione e la salute dei minori.

 

Algeria

Introduzione


Algeri

Linee principali di sviluppo tendenziale della politica algerina si incentrano sul rafforzamento dello stato di diritto ed il consolidamento di uno stato civile. Per realizzare questo prima di tutto il governo algerino ha pensato di operare una riforma della giustizia e dell’amministrazione pubblica.

La crescita democratica del Paese dovrà essere accompagnata allo sviluppo dell’economia  prendendo come priorità la conclusione dell’Accordo di Associazione con l’UE. Uno sviluppo economico duraturo necessita di un rafforzamento del sistema industriale interno tanto che sono stati previsti forti incentivi per spingere gli investimenti delle imprese interne cercando di coinvolgerle anche in settori fino ad ora gestiti dal pubblico privatizzando l’energia l’elettricità ed i trasporti.

Molto importante è anche il problema dello sviluppo agricolo per una sicurezza alimentare del Paese, al fine di ridurre la dipendenza dalle importazioni.

Programma Indicativo Nazionale 2002-2006

Le priorità della strategia per il Paese sono essenzialmente tre. Per prima cosa il governo algerino vuole operare un’apertura dell’economia, creando un ambiente economico favorevole all’economia di mercato. Poi l’azione politica si incentrerà sul miglioramento della situazione sociale in una prospettiva duratura e finanziariamente valida.  Per ridare credibilità alle istituzioni dello Stato è stato previsto un Piano per il miglioramento della buona gestione degli affari pubblici ed il consolidamento dello stato di diritto e della democratizzazione.

La risposta strategica  dell’Unione europea 2002-2006

La risposta si incentrerà sui seguenti punti:

  • Messa in opera dell’Accordo di Associazione considerando come priorità la cooperazione finanziaria per: le riforme riguardanti la modernizzazione dell’economia, la messa a nuovo delle infrastrutture economiche e la promozione dell’investimento privato e la creazione d’impiego.
  • L’entrata in vigore della revisione del Regolamento MEDA che ridefinisce gli obiettivi e le modalità della programmazione dei finanziamenti comunitari per il Partenariato euro-mediterraneo.
  • Il bisogno di una politica di sviluppo dell’Algeria, descritta nel programma del governo ed il piano di rilancio economico 2001-2004.
  • Coordinamento tra l’attività dei finanziatori privati interni con i finanziamenti provenienti dall’UE.

Principali settori destinatari dei finanziamenti UE

I finanziamenti MED si sono incentrati verso il settore pubblico per la sua modernizzazione. In particolare il finanziamento è stato di 125M€.

Vari ed ingenti prestiti della BEI si sono indirizzati in particolare verso le infrastrutture: autostrade, elettrificazione del sud del Paese per un ammontare complessivo di circa 170 M€. Un grande sforzo economico è stato fatto attraverso i finanziamenti UNDP per assistere il processo di adesione dell’Algeria all’OMC e alla sua associazione all’UE. I prestiti italiani si sono incentrati nel settore socio sanitario: finanziamenti in favore delle vittime di conflitti civili, iniziative d’urgenza per l’assistenza umanitaria in favore delle vittime del virus HIV e centri di accoglienza per le donne vittime del terrorismo.



[1] V. Cardia Umberto, “ Considerazioni sul dialogo euro- arabo ”, Atti del Convegno Internazionale organizzato dal Seminario di Studi Politici e Sociali dell’Istituto Universitario Orientale, Napoli, 28-29/3/1980, Editoriale Scientifica, Napoli, pag.245

[2] L’Unione del Maghreb arabo (con sede a Rabat, Marocco) è stata costituita nel febbraio 1989 tra Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia. Il suo scopo è la costituzione di un mercato economico comune con frontiere aperte e l’unificazione culturale.La sua attività è paralizzata soprattutto dalla crisi politica in Algeria.

[3] V ad esempio l’art. 23 dell’Accordo di Cooperazione tra le Comunità Europee e la Repubblica Democratica Popolare d’Algeria, in GUCE, serie L263 del 27/9/1978.

[4] Anche se alcuni prodotti particolari, come il succo d’arancia, hanno continuato a penetrare dai maggiori produttori mondiali, gli USA ed il Brasile, grazie alle maggiori capacità di commercializzazione.

[5] Per questa espressione, comune nella letteratura economica, v. anche CNEL, Il Mediterraneo da mosaico a regione, Rubbettino Editore, Soneria Mannelli, 1993, pag. 67.

[6] E questo malgrado il rumore sollevato per le “ quote latte ” italiane, che in realtà sono del tutto marginali nel contesto europeo. Basti considerare il fatto che il 50 % di tutto il latte italiano è impiegato per produrre il Grana Padano.

[7] Il WTO, acronimo di WORLD TRADE ORGANIZATION (Organizzazione mondiale del commercio), è l'ente di controllo mondiale del commercio internazionale. Il WTO è un'associazione che ha sostituito, a partire dal 1995, il GATT (GENERAL AGREEMENT ON TARIFFS AND TRADE

[8] V UTICA, Accord de libre echange Tunisie-Union Européenne: Impact sur l’entreprise tunisienne, Tunis,novembre 1995.


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Numero 15
marzo 2002










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