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          |  |  PALERMO |  In questa 
        nuova rubrica proponiamo articoli e commenti comparsi su "la Repubblica 
        - Palermo" riguardanti le relazioni tra la Sicilia e i paesi dell'area 
        mediterranea e del mondo arabo. ( 
        LA SICILIA NEL MEDITERRANEO) 
         
          
         
          
         
          
         
          
         
 La 
        Nuova frontiera Euro-Mediterranea *
 AGOSTINO 
        SPATARO   Oggi 
        si fa un gran parlare di Sicilia e Mediterraneo, di "ponte" fra Europa 
        e Africa, di scambi e di cooperazione con i Paesi del Maghreb, etc, etc. 
        Tutto ciò è bene, anche se, noi che, da circa 30 anni, andiamo proponendo 
        (sovente in solitudine) questa prospettiva come una delle principali vie 
        d'uscita dalla crisi in cui è stata relegata la Sicilia, avvertiamo un 
        leggero senso di fastidio nell'udire o nel leggere di prese di posizioni 
        enfatiche da parte di taluni che, fino a pochi anni addietro, ignoravano 
        o disdegnavano questa possibilità. Ma non è questo il punto. Il fatto 
        davvero importante è che nel Mediterraneo qualcosa di costruttivo si sta 
        effettivamente movendo, che una politica nuova sta, forse, nascendo e 
        si potrà affermare se si placheranno gli odi a Gerusalemme, se cesserà 
        l'eterno conflitto che vi si svolge dentro ed intorno, non per far prevalere 
        un Dio o un culto, ma per il controllo di due risorse fondamentali in 
        Medio Oriente: una abbondante (il petrolio) e l'altra carente (l'acqua). L'esigenza 
        di sottrarre l'area mediterranea da questa morsa infernale è stata espressa 
        in più occasioni, ma con scarsi risultati. Importante però è cominciare 
        ad immaginare, e programmare, un futuro non più ipotecato dalla "maledizione 
        del petrolio". In un libro del 1993 **, scritto insieme all'amico Bichara 
        Khader, eminente economista palestinese, abbiamo prospettato l'ipotesi 
        di trasformare l'area mediterranea in uno "spazio economico comune" condiviso 
        fra Europa e Paesi terzi mediterranei, da proporre come uno dei poli dello 
        sviluppo mondiale per il XXI secolo. L'Unione Europea, dopo un trentennio 
        di "politica mediterranea" episodica e parcellizzata, ha imboccato la 
        strada di un approccio globale della questione mediterranea e sottoscritto 
        con 12 Stati terzi mediterranei, nel novembre del 1995 a Barcellona, un 
        trattato internazionale di enorme rilievo politico che delinea una prospettiva 
        di partenariato su aspetti importanti che spaziano dalla sicurezza ai 
        diritti umani, dall'emancipazione della donna ai flussi migratori, dall'aiuto 
        pubblico  agli investimenti privati, dalle infrastrutture al sistema dei 
        trasporti, dalla formazione scientifica e professionale al turismo, dalla 
        difesa dell'ambiente e del mare all'organizzazione dei mercati, etc. Per 
        l'attuazione di tali accordi, l'UE ha impegnato e speso decine di migliaia 
        di miliardi ed avviato azioni concrete di cooperazione e di scambio con 
        i 12 PTM, mentre si sta lavorando per l'ingresso  della Libia nel sistema 
        del partenariato euro-mediterraneo che dovrebbe sfociare, nel 2010, nella 
        creazione di una zona di libero scambio, ovvero di un nuovo mercato di 
        600-700 milioni di consumatori.
 Com'è noto, 
        questo sistema di accordi e di finanziamenti è stato riconfermato, il 
        16 novembre 2000 a Marsiglia, nel corso del vertice dei ministri degli 
        esteri dei 27 Paesi partecipanti al partenariato euromediterraneo che, 
        certo, non è lo "spazio economico comune", tuttavia ha attivato una dinamica 
        euromediterranea e una serie di processi economici e politici prima impensabili.  Di fronte 
        a questa realtà in movimento, in Sicilia invece di discutere e soprattutto 
        operare per attrezzare la nostra regione per inserirla a pieno titolo 
        nel processo già avviato, ci si divide, anche nel campo progressista, 
        fra propugnatori di centralità mediterranee (tutte da costruire) e demolitori 
        della prospettiva mediterranea. A mio avviso, 
        la Sicilia sta dentro questo scenario, con tutto il suo bagaglio storico 
        e culturale e con la sua attuale, contraddittoria realtà socio-economica, 
        anche se bisogna sapere che la sola centralità geografica non è sufficiente 
        a garantirle la centralità economica o d'altro tipo. Purtroppo, 
        la Sicilia, considerata nella sua dimensione produttiva, infrastrutturale 
        e mercantile, non è adeguata al livello di competitività esistente e a 
        quello che, prevedibilmente, si determinerà nel 2010 nell'area mediterranea. A parte i 
        ritardi e le carenze nelle infrastrutture dei trasporti, del sistema formativo, 
        dell'agibilità democratica, vi sono altri elementi da valutare che denunciano 
        una realtà distorta del sistema produttivo siciliano in rapporto al mercato 
        mediterraneo. Ecco qualche esempio: in valore la quota siciliana dell'export 
        nazionale ha raggiunto( giugno 2000) a malapena il 2% (contro il 28,5% 
        della Lombardia), per altro il dato siciliano, in crescita rispetto al 
        semestre precedente, è fortemente inficiato dall'incidenza delle produzioni 
        di benzine e derivati, mentre la quota non oil è rimasta sostanzialmente 
        inalterata; con i Paesi arabi e mediterranei (in particolare con quelli 
        esportatori d'idrocarburi) la Sicilia mantiene un pesante saldo negativo 
        che, sul piano nazionale, è compensato con le esportazioni delle regioni 
        del centro nord. Come dire: la Sicilia si fa carico dell'importazione 
        e della raffinazione di enormi quantità di petrolio per i mercati nazionale 
        ed europeo ( con grave pregiudizio per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema 
        marino), ma sono le regioni forti del centro nord italiano a trarne beneficio 
        sul terreno economico, realizzando la quasi totalità dell'export di beni 
        e servizi verso i paesi d'origine degli idrocarburi. Questo si 
        verifica- è bene rilevarlo- anche perché la Sicilia ha poco o nulla da 
        esportare sui mercati arabi e mediterranei.  Tranne qualche 
        eccezione, il sistema produttivo siciliano è debole, scarsamente diversificato, 
        talvolta obsoleto, e pertanto incapace di competere su questi mercati 
        con le produzioni dei principali paesi industrializzati; il sistema siciliano 
        non riesce a soddisfare adeguatamente nemmeno il fabbisogno locale (si 
        ritiene che sia del 20-25% la capacità di copertura del mercato interno 
        siciliano), mentre la gran parte delle produzioni agricole (vino, agrumi, 
        ortaggi, olio, etc) sono soggette alla forte concorrenza delle produzioni 
        mediterranee e perciò sono state escluse- temporaneamente- dagli accordi 
        di Barcellona. La questione non è dunque quella di dividersi sulle opzioni 
        geoeconomiche (anche se meno spocchia eurocentrista sarebbe salutare per 
        l'economia siciliana), ma di pensare come attrezzare la Sicilia (sotto 
        il profilo dell'innovazione e della diversificazione produttiva, dell'infrastruttura 
        delle comunicazioni e dei trasporti per favorire la velocità dei collegamenti, 
        dell'organizzazione commerciale, ecc) per farle svolgere un ruolo attivo 
        in senso bi-direzionale: verso l'Unione europea e verso il Mediterraneo 
        e non per fare "il ponte" di qualcosa o di qualcuno, ma principalmente 
        per esportare beni e servizi, cultura, informazioni, tecnologie fabbricati 
        in Sicilia.  Tutto ciò 
        nel quadro della costruzione di un nuovo sistema di relazioni con i popoli 
        del Mediterraneo che non può essere basato soltanto sui flussi di merci 
        in entrata e in uscita, ma sulla cooperazione, sulla solidarietà e sulla 
        valorizzazione delle risorse umane, poiché al centro di ogni sana politica 
        dovrebbe restarci sempre l'uomo con i suoi bisogni e le sue speranze. Anche 
        in questo la Sicilia, in virtù della sua vicenda storica e del suo riconosciuto 
        spirito di tolleranza, potrebbe dare un contributo davvero originale per 
        realizzare un clima di convivenza pacifica in un Mediterraneo multietnico 
        e multiculturale. Questo è 
        anche il principale banco di prova per i governi, i partiti, ma anche 
        per il ceto imprenditoriale, delle forze sociali, del sistema bancario 
        e di tutti i soggetti che hanno a cuore la rinascita della Sicilia, se 
        sapranno o no delineare ed attuare un progetto capace di mettere a frutto 
        tutte le risorse e le potenzialità esistenti nell'isola (e ve ne sono), 
        mirato ad estirpare quel grumo infetto composto di malapolitica e criminalità, 
        di corruzione e inefficienza amministrativa che fa della Sicilia un territorio 
        ad alto rischio per gli investimenti.                                                             
         Altro paradosso: 
        nell'Isola si registra una forte carenza d'investimenti, soprattutto privati, 
        a cui fa da pendant una sistematica fuga di capitali (dall'isola verso 
        i centri finanziari del nord e dell'estero) per il tramite di un sistema 
        bancario sbarcato in forze in Sicilia non per finanziare ma per sottrarre 
        risorse allo sviluppo locale, lasciando agli usurai un ampio spazio di 
        supplenza. Il partenariato 
        euro-mediterraneo è la nuova frontiera della Sicilia; a questo obiettivo 
        bisognerà finalizzare gli sforzi e le risorse, ridisegnando le linee di 
        uno sviluppo compatibile e riformando profondamente le strutture operative 
        e il ceto politico che dovrebbe governare un processo così impegnativo. 
        Speriamo che le prossime elezioni per il Presidente della Regione e per 
        il rinnovo dell'ARS riescano a segnare una svolta in questa direzione. Agostino 
        Spataro * Questo 
        articolo è stato pubblicato anche sulla rivista "Segno" 
        del mese di aprile 2001. ** "IL 
        MEDITERRANEO" di A.Spataro e B. Khader- Edizioni Associate - Roma-1993 ( 
        torna su ) La 
        Sicilia sbarca a Tunisi  AGOSTINO 
        SPATARO  L'altra sera 
        all'aeroporto di Catania, ho incontrato Vincenzo Consolo e signora. Venivano 
        in Sicilia per andare in Tunisia, al Salone del libro di Le Kram: un incontro 
        casuale che, tuttavia, mi è parso un segno del "viaggio" 
        che la cultura siciliana è chiamata a intraprendere per le vie 
        del Mediterraneo, per questo vecchio mare che potrebbe riunire i paesi 
        rivieraschi intorno a un comune progetto di rinascita economica e culturale. 
        Le Kram è un grazioso borgo sulla costa che da La Goulette si stende 
        fino al promontorio di Sidi Bou Said, passando per i siti archeologici 
        dell'antico porto di Cartagine, delle terme di Antonino e del sontuoso 
        palazzo della presidenza della Repubblica.Consolo, nel suo libro "Di qua dal faro" (Mondatori, 1999), 
        scrive di una «quarta guerra punica, la guerra del pesce» 
        scoppiata, negli anni Sessanta, fra armatori siciliani e autorità 
        tunisine, libiche e aggiunge che a farne le spese sono sempre i più 
        deboli, in questo caso «erano gli immigrati arabi, i quali, oltre 
        a essere sfruttati, venivano di tempo in tempo perseguitati. Odiosi episodi 
        sono avvenuti, in quella parte meridionale della Sicilia, di caccia al 
        tunisino».
 Oggi le relazioni fra Italia e Tunisia interessano una vasta gamma di 
        settori. Anche la Sicilia comincia a segnare qualche punto all'attivo, 
        tuttavia la sua presenza resta molto al di sotto delle potenzialità 
        esistenti, sia sul fronte economico sia su quello culturale. Una mostra 
        ("L'Islam in Sicilia"), per quanto pregevole potrà risultare, 
        da sola non risolve il problema delle relazioni culturali fra la Sicilia 
        e la Tunisia. Servono politiche e programmi credibili nel contesto della 
        cooperazione euromediterranea, che ormai può diramarsi su ben quattro 
        livelli operativi (europeo, nazionale, regionale e locale) e che, muovendo 
        dalla valorizzazione del ricco patrimonio di rapporti esistenti, configurino 
        una specifica ipotesi di cooperazione culturale siculotunisina.
 Su questo 
        terreno, la Regione siciliana ha sciupato un'occasione foriera d'interessanti 
        sviluppi: un accordo per la creazione di un Circuito turistico integrato 
        fra Sicilia e Tunisia, sulla base di un memorandum da noi preparato e 
        condiviso ai massimi livelli della responsabilità politica delle 
        due parti, il ministro del Turismo tunisino e l'assessore regionale al 
        Turismo, i quali, incontratisi a Palermo nel 1993, sottoscrissero un protocollo 
        d'intesa, presto impugnato dal governo centrale e invalidato, con sentenza 
        del 1994 della Corte costituzionale, a causa del mancato preavviso che 
        gli uffici preposti della Regione siciliana avevano il dovere d'inoltrare 
        al ministero degli Esteri. Una quisquilia che ha vanificato una prospettiva 
        faticosamente costruita, ma che potrebbe essere ripresa dal futuro governo 
        regionale, speriamo meno improvvido e pasticcione dei precedenti.Oltre i dati storici di antica memoria, fra Sicilia e Tunisia esistono 
        svariati legami e possibili punti d'incontro, maturati nel corso dell'ultimo 
        secolo, che potrebbero essere valorizzati sul terreno degli scambi culturali. 
        Importante sarebbe una rivisitazione dei luoghi e dei simboli che testimoniano 
        la presenza d'importanti comunità di siciliani (alcuni nuclei sono 
        ancora identificabili) in varie località tunisine: da Sfax a Sousse, 
        da Cap Bon a Mahdia, da Biserta a Tunisi, a La Goulette dove, nel periodo 
        a cavallo fra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, 
        emigrarono tantissimi siciliani alla ricerca di un lavoro più dignitoso 
        e anche di un asilo (politico) sicuro per sfuggire alle persecuzioni del 
        fascismo. Fra queste comunità, la cui presenza è documentata 
        da pregevoli pubblicazioni tunisine, la più rinomata è stata 
        quella insediatasi a La Goulette, il porto di Tunisi, dove giunsero, ad 
        ondate successive, migliaia di lavoratori dalle province meridionali siciliane. 
        Dal trapanese proveniva la famiglia di Claudia Cardinale, certamente la 
        figlia più illustre di La Goulette.
 Nel centro storico di Tunisi, a due passi dall'Avenida Bourghiba, si estende 
        un grande e degradato quartiere, la "Piccola Sicilia", così 
        denominato perché in passato intensamente popolato da siciliani; 
        nelle settimane scorse, è stato bandito un concorso per la progettazione 
        d'interventi di recupero ambientale e architettonico. La Regione, le università, 
        alcuni enti locali della Sicilia non potrebbero apportare un loro specifico 
        contributo in favore di un'opera che mira a far rinascere uno dei principali 
        quartieri della capitale tunisina?
 Al Salone del libro di Le Kram, con Vincenzo Consolo, ci saranno diversi 
        editori siciliani e anche questo è un buon segno. Questa manifestazione, 
        per quanto interessante e innovativa, è uno spaccato del panorama 
        editoriale arabo che certo non è molto variegato e vasto e sul 
        quale pesa (a eccezione del Libano) un sistema di censura, piuttosto diffuso 
        ed efficiente, che lascia passare soltanto le opere gradite ai due poteri 
        forti: quello politico e quello religioso.
 L'esordio, in questi giorni, di Raimed, un pilastro del quale è 
        basato a Palermo, è davvero una felice concomitanza che potrebbe 
        rappresentare il volano per la svolta tanto attesa. (28/4/2001)
 ( 
        torna su ) L'Assindustria 
        sbarca a Tunisiobiettivo: business a costi bassi
 Da lunedì 
        una sede nel cuore della capitale. Mentre Confartigianato studia una zona 
        franca GIOACCHINO 
        AMATO 
        Fra le imprese siciliane è scoppiato un grande amore per la Tunisia. 
        Da lunedì prossimo, in una villetta nel centro di Tunisi, l'Assindustria 
        di Palermo, presieduta da Giuseppe Costanzo, aprirà la sede distaccata 
        del suo consorzio Med Europe Export. Un vero avamposto degli industriali 
        palermitani in Tunisia con personale multilingue. A puntare sul paese 
        nordafricano c'è anche la Confartigianato di Palermo che ha proposto 
        alle autorità locali la costruzione di un'area «offshore» 
        di 80 mila metri quadrati a Gafour in Siliana per insediare una trentina 
        di piccole e medie imprese.Perché questa improvvisa attenzione verso il Sud da parte del mondo 
        produttivo siciliano? Da circa vent'anni le aziende italiane trovano in 
        Tunisia interlocutori privilegiati, grazie a generosi flussi finanziari. 
        Oltre 250 imprese, quasi tutte del Nord Italia, hanno già investito 
        nell'altra sponda del Mediterraneo. La Tunisia offre un costo del lavoro 
        molto basso, un buon tasso di scolarizzazione, sgravi fiscali, un ferreo 
        controllo dell'ordine pubblico ed è il primo paese che ha firmato 
        il trattato con l'Unione europea sull'Europartenariato mediterraneo. Per 
        chi investe in Tunisia ciò equivale a sostanziosi contributi comunitari. 
        Opportunità che le imprese del palermitano hanno già iniziato 
        a saggiare negli ultimi anni con una serie di iniziative non solo in Tunisia 
        ma anche in Egitto, Libia, Marocco, Emirati Arabi. Incontri che hanno 
        già fruttato commesse e fatto nascere jointventure con imprese 
        locali.
 L'iniziativa di Assindustria, che sarà presentata stamattina, è 
        inserita in questo quadro di internazionalizzazione delle imprese palermitane 
        svolto dal consorzio Med Europe Export, creato dalla stessa associazione 
        proprio per seguire queste prime attività all'estero. In Tunisia 
        già operano tre aziende palermitane ed altre tre stanno per iniziare 
        la loro attività di cooperazione con imprenditori locali. Pronte 
        a seguire questa strada ci sono almeno altre venti imprese. I comparti 
        interessati sono quelli dell'alimentazione, degli imballaggi, delle lavorazioni 
        in legno. «Sono progetti di cooperazione che vanno avanti da tempo 
        - spiega Grazia Clementi, presidente del consorzio - e che interessano 
        anche le nuove tecnologie, in particolare la telemedicina che collegherà 
        i centri di eccellenza degli ospedali siciliani e italiani con le strutture 
        sanitarie tunisine».
 Nella sede provinciale di Confartigianato da novembre si lavora su un 
        progetto ancora più ambizioso. Un'area «off - shore» 
        gestita da una società mista italotunisina dove si insedieranno 
        trenta imprese palermitane che occuperanno 750 tunisini. Una vera città 
        con mense, cucine, asili per i figli dei lavoratori, strutture sportive, 
        aule per i corsi di formazione, negozi, show room. L'area sarà 
        in stretto collegamento con l'Università della moda mediterranea 
        che dovrà nascere a Palermo. «La moda servirà da biglietto 
        da visita - spiega Salvatore Ferina, presidente provinciale di Confartigianato 
        - per far entrare in Tunisia le nostre aziende». Il ministro dell'Industria 
        Moncef Ben Abdallah ha scritto a Ferina il 20 febbraio appoggiando l'iniziativa 
        e indicando nella federazione del tessile e nel centro tecnico tessile 
        i partner ideali dell'iniziativa. L'annuncio ufficiale potrebbe arrivare 
        il 2 giugno all'ambasciata italiana di Tunisi, durante il ricevimento 
        organizzato dall'ambasciatore Armando Sanguini. Poi in soli due anni l'area 
        «offshore» diventerebbe realtà. (4/5/2001)
 ( 
        torna su ) Mediterraneo, 
        occasione o trappola
       MARIO CENTORRINO
  Vogliamo 
        provare a spingere più sul concreto l'ipotesi di una proiezione 
        dell'economia siciliana nel Mediterraneo, a darle «gambe», 
        come si direbbe nel comune «politichese»?Allora, quasi stendessimo l'ideale scheda di base per un programma tutto 
        ancora da costruire vediamo quali sono le risorse disponibili, le infrastrutture 
        e le politiche assolutamente indispensabili, i settori su cui oggi si 
        modella lo scambio tra l'Italia e i paesi della cosiddetta Area Med, quegli 
        stessi paesi (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele e territori palestinesi 
        Giordania, Libano, Siria, Turchia, Malta e Cipro) che hanno aderito al 
        partenariato euromediterraneo, oltre alla Libia che ha un suo status speciale 
        di osservatore. A questi andrebbero aggiunti anche due paesi del Golfo 
        Persico, Iran e Arabia Saudita cioè, esterni all'area Med ma i 
        cui sviluppi appaiono di notevole interesse sia perché quanto avviene 
        in questi paesi ha notevole influenza su quelli dell'area in esame, sia 
        perché si tratta di nazioni con un particolare rilievo: la prima, 
        in termini demografici, economici e politici; la seconda in quanto unisce 
        al rilievo economico e finanziario il fatto di essere per molti aspetti 
        rappresentativa delle economie petrolifere del Golfo.
 In Sicilia sono oggi disponibili tra fondi europei, risparmi «gestiti», 
        semplici depositi circa 100 mila miliardi. In molti invocano una Banca 
        del Mediterraneo con una speciale «missione» aziendale. Ma 
        sin d'ora può asserirsi con una certezza non approssimativa che 
        il sistema creditizio locale potrebbe finanziare imprese siciliane in 
        iniziative di delocalizzazione produttiva o di inserimento nel circuito 
        degli scambi.
 Occorrono come condizioni preliminari infrastrutture e misure specifiche: 
        uno o due grandi porte come «terminal» per i traffici; un 
        politecnico universitario dove si insegni agli studenti arabi, disposti 
        (e incentivati) a frequentarlo, contrattualistica internazionale e poi 
        informatica, agraria, zootecnica, trattamento delle acque, archeologia 
        e restauro. Ancora azioni di marketing che facciano comprendere meglio 
        cosa e dove converrebbe provare a «scambiare» tra la Sicilia 
        e i paesi dell'Area Med.
 Qualche dato da cui far partire una riflessione è disponibile, 
        per le esportazioni italiane, dall'analisi compiuta (Banca d'Italia) sui 
        settori del commercio con i paesi mediterranei. Risulta evidente che rilevanti 
        effetti potranno esservi nelle branche del materiale elettrico, delle 
        macchine agricole e industriali e dei mezzi di trasporto, anche in considerazione 
        del fatto che esse non sono in competizione con l'industria locale. Le 
        esportazioni del settore tessile, anch'esse rilevanti, rappresentano un 
        traffico di perfezionamento passivo con le economie dell'area (si esportano 
        cioè materie prime e poi si ritirano prodotti finiti con basso 
        valore aggiunto) e sono senz'altro destinate ad aumentare con l'istituzione 
        di un'area di libero scambio: tuttavia, a differenza dalle branche prima 
        considerate, tali flussi riflettono fenomeni di integrazione con l'economia 
        locale.
 Ci sono oggi in conclusione due esigenze per la Sicilia.
 Intanto quella di non cadere nella «trappola della mediterraneità», 
        come l'ha definita Luciano Violante. Lo sguardo al Mediterraneo cioè 
        solo come luogo del passato, memoria da illuminare, nostalgie da rinnovare. 
        In secondo luogo quella di non cadere vittima della prima, e forse unica, 
        Legge di Hirschman, come l'ha definita un suo allievo, Luca Meldolesi: 
        comprendere un problema un attimo prima che come tale venga meno. (4/5/2001)
 ( 
        torna su ) Bambini 
        di Mazara a lezione di arabo
       La 
        elementare Santa Caterina è la prima in Italia ad attuare l'esperimento: 
        trenta gli iscritti
       PIERO 
        DI GIORGI
       MAZARA DEL 
        VALLO - Fa un certo effetto entrare nell'aula del primo circolo della 
        scuola elementare Santa Caterina di Mazara del Vallo, dove si pratica 
        l'integrazione interculturale, e vedere le scritte alle pareti in arabo 
        e italiano. In questa scuola, infatti, esiste un laboratorio, forse l'unico 
        in Italia, in cui si realizza concretamente un processo di integrazione 
        interculturale tra bambini italiani e tunisini, partendo dalle loro differenze 
        per approdare a valori condivisi. Esattamente il contrario di quanto è avvenuto finora a Mazara, 
        dove c'è una scuola tunisina, attraverso la quale si tiene vivo 
        il desiderio mai sopito del ritorno in patria, e dove non viene insegnato 
        l'italiano ai bambini tunisini, senza alcuna interazione con la scuola 
        italiana, in uno stato di separatezza che è l'emblema perfetto 
        del modello di convivenza tra le due comunità.
 I bambini che finiscono la sesta classe vengono inviati in Tunisia con 
        la madre o dai nonni, oppure vengono iscritti alla scuola media di Mazara, 
        senza un'adeguata conoscenza dell'italiano. Ciò determina una barriera 
        linguistica, che è l'inizio di un processo di emarginazione e di 
        mortalità scolastica.
 Invece la legge di riforma della scuola elementare afferma che essa concorre 
        alla formazione dell'uomo e del cittadino, secondo i principi della Costituzione 
        e nel rispetto e valorizzazione delle diversità individuali, sociali 
        e culturali. Ciò richiede la realizzazione di una pedagogia non 
        soltanto dell'integrazione ma anche della valorizzazione della cultura 
        degli altri. Compito della pedagogia interculturale è, perciò, 
        fare in modo che culture diverse convivano senza ignorarsi. È su 
        queste premesse che Karim Hannachi, intellettuale tunisino con doppia 
        cittadinanza, nell'ambito dei progetti del Cresm per l'inserimento degli 
        immigrati, ha lanciato l'idea di un progetto di integrazione interculturale 
        tra bambini italiani e tunisini, che ha subito incontrato la disponibilità 
        della direttrice del primo circolo didattico, Maria Corte. Il progetto 
        è stato inviato al ministero della Pubblica istruzione ed è 
        stato considerato tra i migliori d'Italia, tanto che Hannachi e la direttrice 
        Corte sono stati invitati a illustrarlo in varie parti d'Italia.
 Nell'anno scolastico in corso è stato attivato un modulo di prima 
        elementare con sei bambini tunisini in due classi. Essi hanno il mediatore 
        linguistico fino alle 11,30 e attività di recupero individualizzata 
        per chi rimane indietro. Dalle 11,30 in poi viene loro insegnata la lingua 
        araba. La novità rilevante è che, in queste classi, viene 
        insegnato l'arabo anche ai bambini italiani per due pomeriggi la settimana. 
        Pur essendo lo studio dell'arabo facoltativo, hanno aderito trenta bambini.
 La programmazione prevede una serie di obiettivi interculturali che vanno 
        dal parallelo tra Mazara e Madia (città di provenienza di tanti 
        tunisini), tra cristianesimo e islamismo, al disegno di una chiesa e di 
        una moschea, alle abitudini alimentari, alle tradizioni e alle feste, 
        ai giochi e giocattoli. (9/5/2001)
 
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 Numero 
        12maggio 2001
 
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