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PALERMO

In questa nuova rubrica proponiamo articoli e commenti comparsi su "la Repubblica - Palermo" riguardanti le relazioni tra la Sicilia e i paesi dell'area mediterranea e del mondo arabo.

( LA SICILIA NEL MEDITERRANEO)

  1. Inaugurata la mostra della Fondazione. A luglio si sposterà ad Amman, a settembre a Damasco
    La Sicilia sotto una tenda berbera le Orestiadi conquistano il Cairo
  2. IL SAHARA E' PIU' VICINO
    di silvano Riggio

  3. ARAFAT E L'ISOLA PERDUTA
    di Agostino Spataro

L'ultima moda delle cerimonie nuziali: invitare la ballerina
Danza del ventre per gli sposi

Maria Tiziana Gullotta

È arrivata una nuova moda a Palermo: fare esibire le danzatrici del ventre nelle cerimonie nuziali. Finora, le avevamo viste soltanto nei ristoranti o nei pub, adesso sono richieste nei matrimoni per evocare atmosfere esotiche e il folclore arabo.
In Egitto, ancora oggi, esiste la consuetudine di far intervenire nel giorno delle nozze una danzatrice orientale e in simbolo di fertilità e d'augurio per una numerosa prole, gli sposi sono soliti farsi fotografare con le mani poste sul suo ventre. La denominazione "danza del ventre" però è stata introdotta da alcuni viaggiatori occidentali che si recavano in oriente, gli arabi la chiamano "raqs sharqi" appunto danza orientale. I suoi movimenti prendono spunto dal "raqs baladi" cioè da un tipo di danza popolare eseguita da donne e bambini durante le feste familiari e tradizionali. In questi ultimi anni, questa danza è sempre più diffusa e praticata nel mondo occidentale.

Chi sono le danzatrici che animano serate e matrimoni? Jamila, 34 anni, è palermitana, ha ereditato la passione per la danza dai genitori, campioni di parecchie competizioni di ballo liscio. Dai ritmi classici è passata a quelli latinoamericani fino ad approdare alla danza orientale che è la sua passione autentica iniziata tre anni fa, dopo l'incontro a Milano con un coreografo egiziano. Ha frequentato workshop, stage e seminari in Italia e in Tunisia per apprendere i differenti stili della danza orientale anche se i suoi movimenti si ispirano, in particolare, alla danza del Cairo e di Alessandria. «L'oriente mi ha sempre affascinato, perché c'è un mistero velato cioè il fascino del vedo e non vedo, del dico non dico ed è soltanto attraverso la danza che le donne possono esprimere la loro femminilità e sensualità. Mi piacerebbe aprire a Palermo un'accademia per dare l'opportunità di specializzarsi e di conseguire dei titoli riconosciuti».
Maia è egiziana, ha 26 anni, da quindici anni vive a Palermo, dove tra i vicoli del centro storico ha trovato la sua "Mecca". È il primo anno che insegna in un'associazione, le sue insegnanti sono state le zie e le cugine egiziane. «Mi piacciono i paesi caldi, per questo ho scelto di vivere a Palermo, ma questa città ha circuiti limitati riguardo alla danza e non sempre si crea quell'atmosfera carica di sensualità ed erotismo. In Egitto si balla sempre, soprattutto nelle feste e nei matrimoni. Mi piacerebbe approfondire la danza facendo degli scambi, per esempio, vorrei portare le mie allieve in un paese arabo, per farle confrontare con la realtà di quei luoghi».
Paola, palermitana, ha 27 anni, studia all'Accademia di Belle arti e insegna danza orientale in due palestre. Si ispira alle danze dell'Algeria e della Kabilia, dal momento che proviene dalla scuola di Sabah Benziadi, la nota danzatrice algerina che ha debuttato con Franco Battiato. «Più che istruttrice di danza mi definisco una mediatrice, cioè cerco di trasmettere ai miei allievi, con un linguaggio occidentale, ciò che ho appreso dalla mia insegnante algerina. La danza ha tirato fuori quello che avevo dentro ed è servita a studiare me stessa. Per me è diventata una filosofia di vita e consiglio a tutti di avvicinarsi a essa perché dà equilibrio e armonia alla mente, eleganza e sinuosità al corpo. A Palermo e dintorni è difficile reperire l'abbigliamento per questa attività e siamo costrette a farceli spedire dall'estero a un prezzo che va dai 250 euro in su».
Spesso l'abbiamo vista esibirsi al pub "Shahrazad", si chiama Noura, è inglese e vive a Palermo da quattordici anni. Ha cominciato con la danza classica, poi il tip tap, la danza contemporanea e per caso si è avvicinata alla danza orientale che continua sempre ad approfondire e studiare. «Ogni danzatrice ha la sua personalità, il suo pubblico e qualcosa di diverso da trasmettere. Di recente, ho ballato in Inghilterra per l'anniversario di matrimonio dei miei genitori, erano meravigliati non sapevano che facessi questo lavoro a Palermo. Il prezzo delle esibizioni varia secondo l'importanza della cerimonia, ma in genere si parte da cento euro per una serata. Dal momento che non è facile reperire l'abbigliamento, è il mio fidanzato arabo a cucire i costumi orientali, con pazienza infila perlina per perlina».

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UN PROGETTO PER IL FUTURO
LO SCAMBIO CON IL PETROLIO


AGOSTINO SPATARO

Col passare dei giorni, l'emergenza idrica rischia di trasformarsi da disagio sociale diffuso a un impietoso atto d'accusa nei confronti di un'intera classe dirigente politica e amministrativa, dei governanti del centrodestra che, dopo aver fatto il pieno dei voti, non garantiscono ai siciliani un pieno d'acqua per lavarsi e dissetarsi. Per non dire dei disastri in agricoltura e nel turismo dove le conseguenze potrebbero essere davvero letali già agli inizi dell'alta stagione.
Ci sono voluti i blocchi stradali e gli arresti di Palermo e l'eco suscitata sui mass media italiani e stranieri, l'organizzazione da parte di Cgil, Cisl ed Uil di una grande manifestazione provinciale per stamattina, alle 11 in piazza Marconi ad Agrigento, cittàsimbolo della grande sete, per scuotere l'imperturbabilità del governo Berlusconi, costretto a prendere atto dell'incapacità del governo regionale e del suo presidentecommissario nel fronteggiare la difficile situazione.
Vedremo quali risultati produrranno i provvedimenti decisi dal Consiglio dei ministri, tuttavia pare che si muovano soltanto nella logica dell'emergenza, mentre siamo di fronte a una crisi strutturale, ciclica, in sintonia col contesto geoclimatico dei paesi della fascia centromeridionale del Mediterraneo, dentro cui è collocata la Sicilia.
Da tempo, sono note talune preoccupate analisi, formulate da specialisti di organismi qualificati (Cnr, Piano Blu, Irem), relativamente al divario che si sta creando nell'area mediterranea fra la crescita tendenziale dei consumi idrici per i diversi usi e il progressivo impoverimento (ma anche inquinamento e salinizzazione) delle risorse idriche disponibili.


In primo luogo, a causa della sostenuta crescita demografica che interesserà maggiormente i paesi rivieraschi e in particolare quelli nordafricani. Da qui al 2025, la popolazione costiera aumenterà dagli attuali 123 a 220 milioni di abitanti, mentre i turisti che affluiranno sulle coste del Mediterraneo passeranno dagli attuali 180 a oltre 300 milioni. Aggiungendo alla popolazione residente le presenze turistiche si avrà una pressione demografica davvero esorbitante, pari a 12.000 persone per chilometro di costa, più che doppia rispetto all'attuale (5.700) (fonte: Adalberto Vallega in "Water resources and mediterranean ecosystems").
Bisognerebbe, inoltre, considerare le prevedibili, accresciute esigenze per gli usi irrigui e industriali che, fra poco più di 20 anni, peseranno sulle già grame risorse idriche dei paesi rivieraschi, provocando una condizione di estrema penuria in ben 8 paesi e in una popolazione oscillante fra gli 85 e i 140 milioni di abitanti (rispetto ai 23 milioni attuali), mentre altri 150 milioni di mediterranei (al posto degli attuali 87 milioni) vivranno in condizione di crisi idrica permanente. Appare chiaro che, di questo passo, l'acqua diventerà una risorsa davvero preziosa e difficilmente reperibile e potrà divenire oggetto di contenzioso e perfino di sanguinosi conflitti fra gli Stati.
Stiamo parlando dello scenario euromediterraneo dove, per una "bizzarria compensativa" della natura, insistono i paesi della riva nordafricana poveri d'acqua, ma ricchi di petrolio e di gas naturale, e quelli della riva nord e del centro Europa poveri d'idrocarburi, ma dotati di enormi disponibilità di risorse idriche, in gran parte inutilizzate.
La Sicilia, forse perché si trova nel mezzo, scarseggia sia di acqua sia di petrolio. Che fare? Molte sarebbero le cose da fare, anche per recuperare 50 anni di colpevole ignavia. A tal proposito, vorrei presentare un'idea, apparentemente un po' azzardosa, da anni condivisa con alcuni amici studiosi del Mediterraneo, che va ben oltre i provvedimenti d'emergenza e si configura come ipotesi inedita di cooperazione euromediterranea. L'Italia e la Sicilia dovrebbero avviare azioni di programmazione su scala mediterranea, associando a questo sforzo le altre regioni meridionali, per aprire una prospettiva nuova fra Europa e paesi produttori d'idrocarburi, basata sullo scambio fra acqua e petrolio (e gas). Si verrebbe a creare un vincolo d'interdipendenza fra nord e sud che favorirebbe lo scambio in altri settori e garantirebbe la comprensione e la pace fra le nazioni. Saremmo "condannati" alla pace, poiché nessun governo avrebbe interesse al conflitto, né quelli del nord che dipenderanno dal sud per l'approvvigionamento energetico, né quelli del sud che dipenderanno dal nord per l'approvvigionamento idrico.
Scambio ineguale? Penso proprio di no. A ben guardare, un litro di acqua minerale costa quanto un litro di benzina (al netto delle tasse), per cui anche come valore reale lo scambio è ammissibile. Il problema del trasporto è risolvibile mediante la realizzazione, accanto ai grandi metanodotti e oleodotti già operativi o programmati, di acquedotti altrettanto grandi che, seguendo un percorso inverso (dal centronord europeo verso il sud), trasferiscano enormi quantitativi d'acqua verso i paesi aridi e desertici esportatori d'idrocarburi. In questa prospettiva, la Sicilia, sul cui territorio approdano e transitano imponenti gasdotti transmediterranei, potrebbe divenire sede di attraversamento di una gran parte di questi flussi idrici e quindi usufruire di una percentuale dei volumi trasportati che renderebbe superflua la costruzione di nuove dighe e di costosissimi dissalatori. Senza inventarsi una tassa sull'acqua, per favore.

Agostino Spataro

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Uno studente di architettura
riscopre il varco della città degli Arabi

di Mario Pintagro

Balàrmuh, la città degli Arabi, è sotto i nostri occhi. Di tanto in tanto emerge e si offre alla vista con il suo carico di storia e fascino. E dalla tela di pietra dell'antica cortina muraria del Cassaro spunta fuori un antico varco, la Porta Oscura, la stessa che il mercante iracheno IbnHawqal attraversò nel 972 per uscire verso settentrione dove era una sorgente chiamata Ayn sifà, la fonte della salute. La scoperta è di uno studente di architettura, Gaetano Brucoli, prossimo alla laurea. Brucoli ha incrociato i dati topografici con quelli archivistici, poi ha effettuato delle verifiche sul posto, ispezionando alcuni immobili fra via Venezia, a ridosso del Teatro Biondo, e la salita Castellana, dov'era l'antica fabbrica di cioccolato Valenti. Fra interpolazioni e sovrapposizioni, al di là di un pesante portone metallico ha risolto il rebus, rimovendo un soppalco per leggere con più facilità quel che resta dell'antica Porta Oscura. Forse l'antico ingresso cittadino corrisponde alla Bab aynsifà o Porta della salute, fatta aprire dall'emiro tra il 954 e il 962 sulle mura settentrionali della città, a seguito della protesta della gente che non aveva varchi vicini tra le altre due porte, la Bab al Bahr che guardava il mare e la Bab al Sciantagath, verso la Guilla, ma questa è solo una congettura che potrà essere dimostrata dall'indagine archeologica.
Della Porta Obscura si ha traccia sin dal 1309 attraverso un documento notarile di compravendita. L'ultimo studioso ad avere lasciato una descrizione di Porta Oscura era stato Vincenzo Di Giovanni nella Topografia Antica di Palermo, nel 1882. L'opera conteneva un'incisione del De Lisi che mostrava l'arco della porta in un cortile e il piano di calpestio con il basolato di Billiemi. Poi più niente, se n'era persa la memoria. «Il vicolo che dava accesso alla porta era ancora riconoscibile nelle prime mappe delle città - spiega Brucoli - poi, con l'apertura di via Maqueda esso perse d'importanza, sino a essere chiuso. Era percorribile fino al 1759, mentre nel 1818 risultava ostruito nei due accessi e privatizzato. I due ingressi però si riconoscono ancora: quello da via Venezia è in corrispondenza della bottega di un pescivendolo, proprio sotto gli archi di sbadaccio di due costruzioni, mentre dalla salita Castellana si accede al cortile dell'omonimo palazzo».
Percorso uno degli accessi, non si può fare a meno di notare la corrispondenza fra lo stato attuale dei luoghi e la descrizione del Di Giovanni. L'arco si trova in cima a una stretta e ripida scalinata su quella che una volta doveva essere la cresta della cittadella punicoaraba. Fra il piano della porta e piazza Venezia, l'antica Conceria, c'è un dislivello di più di sette metri: un dato confermato dagli storici che a proposito della Porta Oscura parlano di «acchianata di Porta Oscura» o «scinnuta», a seconda della direzione di percorrenza.
Ma perché oscura? Lo storico Pugnatore, nel 1583, scrisse che il nome era dovuto «dall'effetto per avventura dell'aere scuro», mentre Gaetano Giardina nel 1732 scrisse che «il luogo era oscuro e mancante di lume». Quest'ultimo si soffermò sull'importanza del sito lamentando che sarebbe stato un peccato se si fosse chiuso il vicolo. Duecentosettant'anni dopo chissà se qualche assessore comunale si ricorderà delle vestigia arabe della città, magari espropriandolo.

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Gemellaggio Sicilia Egitto con il papiro

Un gemellaggio d'arte e cultura tra la Sicilia e l'Egitto, per rinsaldare ancora una volta un tessuto che annoda molti fili comuni. La strabiliante biblioteca di Alessandria d'Egitto, nuova e avveniristica architettura di cristallo che ha comunque alle spalle secoli di gloriosa storia, trova nella Sicilia uno speciale referente per alcune importanti iniziative.
Spiega Lelio Crivellaro, console italiano ad Alessandria d'Egitto: «L'Italia ha destinato un milione e mezzo di dollari per iniziative culturali ed è tra le nazioni più impegnate in questa nuova struttura. Ad esempio, gli antichi papiri conservati nella biblioteca saranno restaurati da giovani egiziani che frequenteranno corsi di restauro nella sede dell'Istituto per il papiro di Siracusa, con la collaborazione del professor Basile».
Le metodologie oggi adoperate in Egitto per restaurare i preziosi e antichissimi fogli, infatti, sono del tutto superate e spesso prevedono l'impiego di sostanze altamente dannose per la salute. Sempre dall'Italia viene la sponsorizzazione per l'acquisto di speciali teche espositive per i preziosi fogli, con luce riflessa e speciali regolatori di temperatura.
I depositi del museo grecoromano della città egiziana, inoltre, custodiscono un mosaico raffigurante la fonte Aretusa, che sarà spedito in Sicilia, restaurato ed esposto per sei mesi al museo di Siracusa, per poi tornare in Egitto. Dall'Italia arriveranno anche le direttive per gli accordi per la realizzazione di alcune iniziative legate a un personaggio comune, Archimede, e che vedranno ancora una volta il coinvolgimento della città aretusea. «Sono luoghi lontani - dice il console Crivellaro - ma con una storia comune che in fondo non si è mai interrotta. Sarebbe bello che anche in Italia nascessero Club di amici della Biblioteca».
Non è un caso se la lunga passerella di vetro che collega l'università e la biblioteca prosegue proprio in direzione del Mediterraneo, a pochi passi da questo spettacolare centro di cultura che vuole essere una finestra sul mondo.

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Inaugurata la mostra della Fondazione. A luglio si sposterà ad Amman, a settembre a Damasco
La Sicilia sotto una tenda berbera le Orestiadi conquistano il Cairo

di Paola Nicita

IL CAIRO - Nell'antica villa in riva al Nilo sull'isola di Zamalek il giardino è occupato da una grande tenda berbera, all'interno vengono proiettate immagini della costa siciliana. Al primo piano della villa dei primi del secolo, c'è un'installazione con alcune cuffie intorno a una balaustra che premettono di ascoltare il canto del venditore beduino di succo di palme che si rispecchia perfettamente nelle «abbanniate» dei venditori dei mercati di Palermo.
Il secolare gioco a incastro d'arte e di storia si ricompone nella mostra "L'Islam in Sicilia, un giardino tra due civiltà" inauguratasi domenica negli spazi dell'Akhenaton del Cairo con un concerto di Mario Crespi degli Agricantus e alla presenza tra gli altri dell'ambasciatore Mario Sica, del sottosegretario alla Cultura Sherit Elshoubashy, di Ludovico Corrao, presidente della Fondazione Orestiadi, e dell'assessore ai Beni culturali Fabio Granata. L'esposizione è organizzata dalla Fondazione Orestiadi di Gibellina, in collaborazione con gli assessorati regionali ai Beni culturali e alla Cooperazione e il ministero degli Esteri. Sette le installazioni proposte dagli Stalker, tra cui un grande tappeto volante che riproduce la Cappella Palatina. "Corrispondenze", a cura del direttore del Museo delle trame mediterranee di Gibellina Enzo Fiammetta, mette in relazione le opere storiche con produzioni di giovani designer siciliani e di quattro artisti egiziani. Dopo Il Cairo, dove rimarrà fino al 20, la mostra sarà ad Amman a luglio e a Damasco in settembre. «Per le Orestiadi - annuncia Corrao - proporremo tra agosto e settembre l'Edipo Re di un giovane regista italiano, un monologo di Licia Maglietta dal testo di una scrittrice catanese e lo spettacolo di Paolini su Ustica».

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IL SAHARA E' PIU' VICINO

di Silvano Riggio

Al termine di un'effimera "onda blu" giunta dopo decenni di privazioni, nei rubinetti ritorna la siccità. È vero che la mancanza d'acqua dipende dalle reti colabrodo, dall'inefficienza degli enti pubblici e dalle interferenze mafiose; ma è altrettanto vero che l'acqua scarseggia all'origine e continuerà a mancare. Piove poco e male. La Sicilia si avvizzisce anno dopo anno. La stessa modesta quantità di pioggia che prima si distribuiva in oltre sei mesi oggi si concentra in pochi episodi temporaleschi dalle conseguenze rovinose. All'origine di ciò è un fenomeno biblico, dal nome sinistro: è la desertificazione.
Il fenomeno non è nazionale: interessa solo la Sicilia e parte della Sardegna; in minor misura le altre regioni del Mezzogiorno. Da noi questa maledizione naturale è ignorata quasi fosse una vergogna. Qualche tempo fa un alto dirigente dell'Amap dimostrava di non sapere cosa fossero il Nino e l'effetto serra (viene da chiedersi: ma cosa leggono questi signori?). Il problema però non è isolato: fa parte di un guasto planetario, inteso come "global change", cambiamento climatico mondiale, ed è talmente grosso da avere ispirato la creazione di un organismo transnazionale, l'Ipcc (International Panel for Climatic Change), dedicato al suo studio e alla ricerca di possibili soluzioni. Le cause in parte si conoscono. Grazie alle ricerche promosse dall'Ipcc la desertificazione della Sicilia era stata prevista già alla fine degli anni Ottanta. Chissà perché all'Eas, all'Anpa, alla Protezione civile, alla Regione siciliana, nessuno ne era informato (sorge di nuovo la domanda: ma cosa leggono i funzionari?). Nei primi anni Novanta il quadro tracciato dall'osservatorio meteorologico di Reading prevedeva per il 2000 un aumento delle temperature su tutto il sud Europa ben superiore al mezzo grado della media mondiale, accompagnato da una drastica diminuzione delle piogge, che si sarebbero concentrate in periodi sempre più brevi, proprio come avviene nelle aree desertiche. Il Mediterraneo settentrionale e l'Europa continentale avrebbero invece ricevuto un surplus di acqua, ma in pochi uragani di inaudita violenza.
La previsione si avvera da almeno 8 anni e le "anomalie" del tempo sono quasi la "normalità". Le carte meteo mostrano la formazione in autunno di un'area ciclonica con epicentro sul mar Ligure e nel Golfo di Genova, alla quale corrisponde un'area anticiclonica stazionante sul nord Africa. Lo squilibrio pressorio fra le due aree innesca violente burrasche con inondazioni in Liguria, in Versilia e in generale su tutto il centro nord. Il sud e la Sicilia diventano corridoi di transito dei venti torridi africani (lo scirocco e il libeccio) diretti a Nord a colmare la depressione ciclonica. I venti sahariani arrostiscono la nostra isola e a Palermo si arroventano ancor più per l'effetto Föhn (vento di caduta). Ovviamente allo spirare dei venti caldi scoppia l'incendio doloso di quei pochi boschi e macchie che erano sopravvissuti alla mancanza d'acqua.
L'azione dell'uomo peggiora il danno dei mutamenti climatici. La cementificazione degli alvei fluviali e la rettificazione del corso dei fiumi favorisce lo straripamento durante le piene ed impedisce la ricarica della falda. I brevi ma violenti uragani causano inondazioni disastrose seguite dal disseccamento delle falde. Quasi tutti i corsi d'acqua della Sicilia sono stati rettificati e cementificati con danni incalcolabili all'ambiente e all'economia. L'industrializzazione dell'agricoltura è responsabile di altri danni gravi. Lo scavo eccessivo operato dai trattori favorisce l'erosione e la perdita di suolo agricolo. L'asportazione del materiale organico dal suolo e l'abuso dei fertilizzanti inorganici impediscono l'imbibizione dei terreni profondi. Ne segue l'inaridimento della falda e la morte della vegetazione arborea. L'espansione delle città e gli impianti fognari aumentano la salinità delle acque sotterranee.
Se si esaminano le conseguenze che l'inaridimento potrà avere sulla vivibilità in Sicilia, queste appaiono più gravi nella fascia occidentale e meridionale dell'isola dove già piove meno che in Tunisia. L'ulteriore diminuzione di queste medie già così basse farà precipitare questa parte dell'isola in una situazione sahariana, peggiorata dall'alta salinità delle acque interne. Nella parte nord l'espansione delle aree metropolitane accresce già la richiesta idrica a scapito delle campagne, innescando il conflitto fra cittadini ed agricoltori che ci colpisce in questi giorni.
Ai nostri ignari politici ed amministratori, pronti a raccomandarsi alla Madonna, bisogna ricordare che esistono soluzioni parziali al problema, tecnicamente realizzabili: basta guardare a Israele, nazione guida nel buon uso dell'ambiente. La più sensata prevede il risparmio dell'acqua sia attraverso la differenziazione delle reti idriche che attraverso il riuso delle acque usate. Queste ultime, dopo aver subito un processo di trattamento, non vanno eliminate in mare, come si fa ora. Tale pratica provoca l'inquinamento delle acque marine, esaurisce la falda idrica e sottrae un bene prezioso agli usi collettivi. Le acque usate, sottoposte ad un trattamento anche sommario, vanno riutilizzate per irrigare parchi e giardini ed altre zone agricole, si prestano ad usi industriali, per il lavaggio delle aree urbane e, in ultima istanza, vanno a ricaricare la falda idrica. Altro grave pericolo è infatti la salificazione delle acque sotterranee, causata dall'emungimento della falda e della realizzazione di opere fognarie. La pratica del riuso, prescritta in Israele, in California e in altre zone subaride dell'Europa meridionale, suscita scarso interesse nei progettisti locali, e sono occorsi gli sforzi dell'ottima Silvia Coscenza, per realizzare un impianto pilota di riciclo.
Altra soluzione parziale è l'inseminazione delle nuvole con nuclei idrofili per stimolare le piogge. Chissà perché, questa tecnica è osteggiata nella nostra Regione, forse perché elegante, poco costosa e inadatta al grande business. La costruzione di ulteriori invasi e di dissalatori delle acque marine è sconsiderata e disastrosa dal punto di vista economico; ovviamente, essa promette grandi affari e per questo motivo è ben vista in certi ambienti.

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Arafat e l'isola perduta

di Agostino Spataro

La proposta del neo gruppo parlamentare "Sicilia 2010" d'inviare, a turno, delegazioni di deputati regionali in Palestina, se effettivamente attuata, sarebbe un atto emblematico significativo della volontà di pace dei siciliani e una testimonianza concreta di solidarietà col popolo palestinese.
In Sicilia esiste una speciale sensibilità verso le vicissitudini dei popoli arabi e palestinese in particolare che nel passato si è espressa nei modi più diversi, sempre riconducibili allo spirito di convivenza pacifica e di cooperazione.
Ai tempi della guerra del Kippur, era il 1973, circolava una battuta (attribuita ad Achille Occhetto, allora segretario regionale del Pci) che esprimeva, fra il serio e il faceto, il sentimento dei siciliani: «La Sicilia è l'unico Stato arabo a non aver dichiarato guerra a Israele».

In quegli anni, Palermo e la Sicilia divennero centri di un magnifico movimento pacifista, di accoglienza di migliaia di giovani esiliati o rifugiati politici provenienti dai vari Paesi mediterranei allora angariati da dittature fasciste o da regimi militari che costellavano le rive del Mediterraneo. La Sicilia progressista reagì nell'unico modo possibile, organizzando la solidarietà e promovendo il dibattito e l'azione politica per trasformare il Mediterraneo da luogo di sanguinosi conflitti in un mare di pace e di cooperazione.
Il Pci tentò di organizzare a Palermo una grande Conferenza mediterranea alla quale furono invitati i leader più prestigiosi dei movimenti di liberazione del mondo arabo: da Arafat a Boumedienne, da Gheddafi a Bourghiba. Molti aderirono all'invito, ma purtroppo quella conferenza venne prima rinviata e poi annullata.
La prima volta che incontrai Yasser Arafat, a Lisbona nel 1977, gli ricordai la mancata iniziativa e il nostro rammarico di non averlo potuto ospitare a Palermo. Arafat rispose che il rammarico più grande era il suo poiché desiderava tantissimo visitare la «Siqilia», quest'Isola bellissima che «ogni arabo porta nel cuore».
In effetti, nell'immaginario collettivo degli arabi, la Sicilia (almeno quella del periodo arabonormanno) è rappresentata come una sorta di paradiso in terra, come una metà agognata, perciò ancora oggi tutti la rimpiangono (insieme all'Andalusia) come un territorio ambito che l'Islam ha perduto. Con il leader palestinese ci siamo visti in altre occasioni e sempre ci ha chiesto della «Siqilia». Come quando l'andammo a trovare a Beirut, nel suo bunker anche allora minacciato dalle truppe israeliane del generale Ariel Sharon il quale, insieme con le falangi dei cristianomaroniti libanesi, attuò mesi dopo uno fra i più orrendi massacri di vecchi, donne e bambini palestinesi rinchiusi nei campi profughi di Sabra e Chatila. O in occasioni di conferenze internazionali: a Damasco, Baghdad, Tunisi, Tripoli e a Roma nell'82 dove, oltre a incontrare il presidente Pertini, parlò nell'Aula della Camera ovvero nel primo Parlamento occidentale nel quale si era formata una larga maggioranza di parlamentari (circa 500, da Berlinguer a Craxi a Zaccagnini) che richiedeva al governo il riconoscimento politico dell'Olp e il diritto per i palestinesi ad avere uno Stato.
L'ultima volta, a Roma nel 1998, si ricordò della «Siqilia» e gli promettemmo che una delegazione siciliana sarebbe andata a Gerusalemme est, il giorno dell'imminente (allora così si pensava) proclamazione dello Stato indipendente di Palestina.
Oggi Yasser Arafat, leader di un popolo oppresso ma invitto, è prigioniero dell'esercito più potente del Medio Oriente. Sharon continua ad accanirsi contro un leader privato di acqua e luce, nell'illusione di umiliarlo e costringerlo alla resa. Evidentemente conosce poco il personaggio e sta sottovalutando la capacità di resistenza di Arafat e del popolo palestinese.


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Numero 16
giugno 2002










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