LA SICILIA NELLA ZONA DI LIBERO SCAMBIO
di Agostino Spataro


Sommario:

 

La ZdL non sarà il “paradiso” del libero commercio

In Sicilia, si fa un gran parlare di zona di libero scambio (zdl) euromediterranea. Taluni la presentano come la panacea di tutti i mali e dei ritardi che affliggono l’economia isolana.
Non c’è dubbio che la creazione, nel 2010, di questo grande mercato di 600 milioni di cittadini sarà un' irripetibile opportunità di crescita, di riqualificazione e di diversificazione della struttura economica e della rete commerciale siciliane.
L’inserimento in un mercato internazionale, competitivo e interconnesso con quello globale, potrebbe aiutare la Sicilia (dove un vero mercato non esiste) a liberarsi dalle pastoie di una concezione d’impresa assistenziale e appesantita da condizionamenti illeciti di varia natura che ne comprimono lo slancio e la capacità d’internazionalizzazione.
Tuttavia, sarebbe un' illusione, al limite un inganno, far credere che nel 2010 entreremo in una sorta di “paradiso” del libero commercio.
A 10 anni dalla Conferenza di Barcellona sull’europartenariato, infatti, non tutto fila per il verso giusto sia sul terreno dell’attuazione dei programmi Meda sia su quello delle procedure di adesione dei singoli Stati, mentre si stanno raffreddando gli entusiasmi soprattutto dei partners più deboli. Tanto che, probabilmente, si andrà ad una proroga della scadenza del 2010.
Ma oltre alle questioni di carattere generale, la Sicilia dovrebbe verificare la sua preparazione (adempimenti, idee, progetti, ecc) a tale evento, partendo dal fatto che le sue produzioni incidono poco sul mercato mediterraneo e quindi rischia di non potere cogliere le opportunità per carenza di offerta di beni e servizi competitivi.

 

La Sicilia esporta poco perché produce poco e male

Come si può constatare dalle annesse tabelle, la Sicilia esporta poco perché produce poco in generale e ancor meno per il mercato mediterraneo e non dispone di una rete commerciale adeguata alle nuove esigenze della distribuzione su vasta scala.
Una condizione preoccupante della quale ho avuto conferma nei giorni scorsi, a Milano, partecipando ad un interessante Laboratorio euro-mediterraneo, promosso dalla locale Camera di Commercio e dal Ministero degli esteri.
Dalle statistiche presentate e dal confronto fra regioni, si evidenzia la marginalità dell’Isola nelle esportazioni verso il mercato mediterraneo.
Milano è la prima provincia per grado di mediterraneità (un mix d’indicatori che vanno dai valori dell’export al numero d’imprese interessate) seguita da Bologna, Pavia, Vicenza, Treviso.
Palermo, che ogni tanto qualcuno candida a “capitale del Mediterraneo”, si trova al 78° posto, dopo Catania al 54° e Messina al 60°. Fra le province siciliane quelle che più si avvicinano alla vetta della classifica troviamo Siracusa ( 9° posto) e Trapani (29°).
D’altra parte, basta dare uno sguardo ai flussi dell’interscambio globale siciliano con l’estero per accorgersi come il peso della nostra Regione sia davvero aleatorio e distorto, nel senso che la Sicilia continua ad essere caricata di un'importazione esorbitante di idrocarburi, senza averne vantaggio sul terreno dell’export.

Tab. n. 1 Principali aggregati del commercio estero siciliano, 2004 (in mln di euro correnti)

 

IMPORTAZIONI

ESPORTAZIONI

SALDO

Minerarie/petrolifere

7.478,7

2.080,4

- 5.398,3

Manifatturiere

2.608,9

3.880,1

+ 1.271,2

Agricole e pesca

112,7

209,8

+ 97,1

TOTALE Interscambio

10.203,3

4.158,5

- 6.044,8

Fonte: elaborazione da “Quadrante economico siciliano” n. 2/2004 - BdS

 

La storica anomalia del commercio estero siciliano

Come dire: la Sicilia importa e raffina enormi quantitativi di gas e di petrolio greggio per garantire benzine ed energia all’Italia del centro-nord e partecipa in misura trascurabile ai flussi di export verso i paesi d’origine degli idrocarburi. Una vistosa anomalia che, in parte, spiega la storia economica e politica della Regione.
Ma vediamo alcuni dati. Nel 2004, secondo l’ufficio studi del Banco di Sicilia, le importazioni totali siciliane hanno ammontato a 10, 2 miliardi (mld) di euro, di cui 7,4 mld (ovvero il 73%) da imputare in gran parte all’import d’idrocarburi, contro esportazioni per 4,1 mld di euro; con un saldo negativo globale di 6,0 mld.Il secondo aggregato, i “prodotti manifatturieri”, si attesa su un import di 2,6 mld (di cui 535 mln euro per prodotti petroliferi raffinati) con un saldo positivo di 1,2 mld. Da notare che fra le esportazioni la voce più consistente ( 2,0 mld) è quella dei “petroliferi raffinati”, ossia la metà dell’intero ammontare dell’export siciliano. Ancora petrolio! Incidenze davvero eccezionali, come se la Sicilia fosse un paese Opec di media portata.
Depurato dalla componente oil, infatti, l’export siciliano scende a soli 2,0 mld di euro che è il valore di tutte le altre esportazioni siciliane verso l’intero mondo.
Tutto ciò, mentre non s’intravedono politiche e flussi d’investimenti adeguati per favorire l’internazionalizzazione delle imprese e una loro più incisiva proiezione verso il mercato mediterraneo.

 

La Cina: un pericolo o una grande opportunità per la Sicilia?

Questa è la realtà di cui nessuno si occupa ai livelli politici ed economici decisionali.
I governanti siciliani s’illudono di modificarla aprendo qualche “casa Sicilia” all’estero o di esorcizzarla con campagne contro l’euro o contro il pericolo giallo, come sta facendo, a Ragusa, l’on. Incardona che vorrebbe fermare con un dito il gigante economico cinese.
Più che di un improbabile protezionismo, l’economia siciliana necessita di crescita ecocompatibile e differenziata, per confrontarsi in campo aperto con altre realtà, guardando all’Europa e soprattutto al Mediterraneo per riequilibrare il grave il divario fra import ed export.
E poi perché percepire la potenza economica e commerciale cinese soltanto come un pericolo?
Potrebbe, invece, diventare una nuova, grande opportunità per la Sicilia e più in generale per il Mediterraneo visto che la gran parte dei flussi mercantili cinesi verso l’Europa passano, e passeranno, attraverso il canale di Suez e il canale di Sicilia.
Ecco, qui, vedo una nuova centralità per la nostra Isola. Altro che dichiarare “guerra” alla Cina!
La Sicilia dovrebbe attrezzarsi per accogliere imponenti flussi di capitali cinesi e no e divenire una piattaforma di cooperazione produttiva e distributiva nel quadro dei nuovi accordi, in trattazione, fra U.E. Cina ed altri importanti Paesi orientali.
Si capovolgerebbe così, in positivo, il suo attuale ruolo: da periferia emarginata dell’Unione europea a snodo vitale dei nuovi flussi commerciali orientali per e dall’Europa. In questa prospettiva, si giustificherebbero un programma straordinario di grandi opere infrastrutturali ferroviarie, marittime ed aeree, l’insediamento di moderni sistemi di servizi all’impresa e quant’altro, per dare risposte vere alla massa dei giovani siciliani diplomati e laureati che fuggono da questa Sicilia che produce solo precariato e disoccupati.
Di fronte ai mutamenti in atto nel Mediterraneo e nel mondo, la Sicilia non può restare ferma e impaurita a difendere quel poco che ha, ma cimentarsi in uno sforzo creativo e competitivo per acquisire una funzione produttiva dinamica nel cuore del Mediterraneo.
Com’era una volta, nei secoli antecedenti la scoperta delle Americhe, quando l’Isola era al centro di una vitale circolarità economica e culturale.
Se vincerà la pace, la storia potrebbe ripetersi: dall’Oriente estremo e medio potrebbero venire gli impulsi fondamentali per rivitalizzare in tutti i sensi il Mediterraneo e garantire un futuro di prosperità alla Sicilia.

 

La Sicilia nella morsa della concorrenza dei paesi forti e dei paesi deboli

Stante ai dati Istat, elaborati dalla Camera di Commercio di Milano, la Sicilia, nel primo trimestre del 2005, ha esportato verso i 13 paesi mediterranei rivieraschi (*) il 10% circa del valore dell’export ed importato il 27% dell’import nazionali. Per avere un’idea, la sola provincia di Milano esporta il 15%, mentre la Lombardia il 30%. All’interno del contesto siciliano si registrano forti disparità fra province: oltre il 90 % dell’export isolano è attribuito a Siracusa, mentre Trapani eccelle nell’import col 66%.
Le altre province presentano percentuali trascurabili. (vedi sottostanti tabelle n. 2, 3 e 4).
Vistose asimmetrie si notano anche dall’esame degli andamenti % nell’ultimo quinquennio (2000-2005). Infatti, mentre i dati medi italiani si attestano intorno ad un + 31,4% dell’import e ad un + 17,9% dell’export, Agrigento registra rispettivamente + 222% e - 43,9%, Enna + 423% export + 19,4%, Palermo + 24% e - 20% e cosi via elencando. (vedi tab. n.5)
Infine, la ricerca della CCIA milanese offre un quadro delle 22.430 imprese italiane che commerciano con i paesi mediterranei. In Sicilia se ne contano 659 (ovvero il 2,9%) delle quali: 200 a Catania, 119 a Trapani, 91 a Ragusa, 86 ad Agrigento, 63 a Palermo, 59 a Siracusa. (vedi tab. n. 6)
Ne vien fuori una seria difficoltà della Sicilia ad operare nel futuro mercato euro-mediterraneo, giacché, oltre a competere con concorrenti agguerriti sul terreno tecnologico e industriale, dovrà far fronte all’immissione sul mercato interno italiano e siciliano di produzioni soprattutto agricole provenienti dai vari paesi rivieraschi. Insomma, La Sicilia rischia di subire la concorrenza delle aree forti europee e di quelle povere delle rive sud ed est del Mediterraneo.
Perciò, urge una profonda svolta politica ed economica, nel pieno rispetto delle procedure e dei parametri economici e finanziari comuni.
Soprattutto quando si rivendica l’ubicazione in Sicilia della Banca Euromediterranea che, forse, si sperava di acquisire facendo leva sulle amicizie politiche e personali fra governatori. Al convegno di Milano i dirigenti della Camera di commercio hanno riproposto tale progetto per rivendicarne la localizzazione nella capitale lombarda dove opera un’importante comunità finanziaria e nuovi fondi d’investimento e si concentra il 30% dell’export italiano verso il Mediterraneo.
Una realtà rilevante che autorizza l’establisment lombardo e no (da Tronchetti Provera a Formigoni, a Moratti, a Bassetti, a Lunardi, a Cimoli, ecc) a pensare di operare nel Mediterraneo come in una sorta di “cortile di casa”. Saltando la Sicilia. Poiché, il loro sforzo di coinvolgimento delle regioni non sembra oltrepassare Napoli.

Agostino Spataro

 

LA SICILIA NEGLI SCAMBI CON I PAESI DEL MEDITERRANEO*

Tab. n. 1
Principali aggregati del commercio estero siciliano, 2004
(in mln di euro correnti)

 

IMPORTAZIONI

ESPORTAZIONI

SALDO

Minerarie/petrolifere

7.478,7

2.080,4

- 5.398,3

Manifatturiere

2.608,9

3.880,1

+ 1.271,2

Agricole e pesca

112,7

209,8

+ 97,1

TOTALE Interscambio

10.203,3

4.158,5

- 6.044,8

Fonte: elaborazione da “Quadrante economico siciliano” n. 2/2004 - BdS


Tab. n. 2
Export Sicilia – Mediterraneo, per provincia
(1° trimestre 2005, valori in euro)

Rango nazionale

PROVINCIA

Export 1° trim. 2005

% su totale Italia

97

Agrigento

614.886

0,0

69

Caltanissetta

8.077.436

0,2

61

Catania

11.829.087

0,3

103

Enna

169.995

0,0

85

Messina

3.488.369

0,1

74

Palermo

6.112.754

0,2

75

Ragusa

5.955.908

0,2

2

Siracusa

355.948.387

9,5

87

Trapani

2.960.391

0,1

 

TOTALE SICILIA

395.157.213

10,6

 

Totale Italia

3.762.140.619

100,0

Fonte: Camera di Commercio di Milano e Istat, 2005


Tab. n. 3
Import Sicilia- Mediterraneo, per provincia
(1° trimestre 2005, valori in euro)

Rango nazionale

PROVINCIA

Import 1° trim. 2005

% su totale Italia

89

Agrigento

2.044.947

0,0

12

Caltanissetta

99.119.782

1,7

54

Catania

12.604.223

0,2

101

Enna

165.445

0,0

13

Messina

91.279.911

1,6

59

Palermo

10.079.215

0,2

76

Ragusa

3.146.039

0,1

5

Siracusa

291.339.963

5,0

1

Trapani

1.069.348.234

18,5

 

TOTALE SICILIA

1.579.127.758

27,3

 

Totale Italia

5.795.047.589

100, 0

Fonte: Camera di Commercio di Milano e Istat, 2005


Tab. n. 4
Interscambio globale Sicilia-Mediterraneo, per provincia
(1° trimestre 2005)

Rango nazionale

PROVINCIA

Volume (euro)

% su Italia

93

Agrigento

2.659.833

0,0

21

Caltanissetta

107.197.218

1,1

59

Catania

24.433.310

0,3

103

Enna

334.440

0,0

24

Messina

94.768.280

1,0

72

Palermo

16.191.969

0,2

80

Ragusa

9.101.947

0,1

4

Siracusa

647.288.350

6,8

1

Trapani

1.072.308.625

11,2

 

TOTALE SICILIA

1.974.273.972

20,7

 

Totale Italia

9.557.188.208

100,0

Fonte: Camera di Commercio di Milano su dati Istat, 2005


Tab. n. 5
Variazione % import-export province siciliane
(periodo 2000-2005)

PROVINCIA

IMPORT %

EXPORT %

Agrigento

+ 222,0

- 43,9

Caltanissetta

- 31,1

+ 156,1

Catania

+ 93,8

- 37,0

Enna

+ 423,3

+ 19,4

Messina

- 45,5

+ 182,2

Palermo

+ 24,0

- 20,3

Ragusa

+ 210,0

+ 32,6

Siracusa

- 11,6

+ 108,2

Trapani

+ 44,4

- 17,5

ITALIA

+ 31,2

+ 17,9

Fonte: Camera di Commercio di Milano e Istat 2000/2005


Tab. n. 6
Imprese siciliane che commerciano con Paesi mediterranei (2005)

Rango nazionale

PROVINCIA

n.ro imprese verso Mediterraneo

% su totale Italia

58

Agrigento

86

0,38

97

Caltanissetta

6

0,03

35

Catania

200

0,89

100

Enna

4

0,02

80

Messina

31

0,14

61

Palermo

63

0,28

55

Ragusa

91

0,41

62

Siracusa

59

0,26

49

Trapani

119

0,53

 

Totale SICILIA

659

2,94

 

Totale Italia

22.430

100,00

Fonte: Camera di Commercio di Milano su dati registro imprese 2005 i Paesi mediterranei qui considerati sono la Libia + 12 facenti parte del programma Meda e precisamente: Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Malta, Marocco, Siria, Territori palestinesi, Tunisia, Turchia.

Agostino Spataro

( torna su )

 








la tua pubblicità su
SICILY NETWORK

Cookie Policy