Periodico a cura del Centro Studi Mediterranei - Direttore Agostino Spataro - E-mail: infomedi@infomedi.it

"Le Primavere tradite" - Agostino Spataro alla Biblioteca "L. Pirandello" di Agrigento

di Agostino Spataro

COMUNICATO DELLA LIBERA UNIVERSITÁ AGRIGENTINA - AUSER

"Nel quadro del programma annuale "Mediterraneo, ieri e oggi", la LUA ha organizzato una conversazione con Agostino Spataro, autore di diverse opere sul Mediterraneo e sul Mondo Arabo, sul tema: "LE PRIMAVERE TRADITE"

L'incontro si svolgerà giovedì 21 novembre alle ore 17:00 presso la Biblioteca" L. Pirandello" di Agrigento (via Imera, n. 50) - Ingresso libero."

Allego sull'argomento alcune pagine tratte dal mio libro "Osservatore del PCI nella Libia di Gheddafi - Un viaggio a Tripoli" Ed. Centro Stuidi Mediterranei, 2013. Saluti. a.s.

Cap. IV
LIBIA, UN'INSURREZIONE NON FA "PRIMAVERA"

Le "primavere" arabe

1. Se è vero che "una rondine non fa primavera" e altrettanto vero che "una primavera" non fa una rivoluzione. Ovviamente, se per "rivoluzione" s'intende un cambiamento profondo dello stato di cose presente e non un mero ricambio di ceti dominanti.

Stiamo parlando delle "primavere" arabe o "rivoluzioni degli internauti" che hanno scosso, ribaltato gli assetti del potere in alcuni paesi nordafricani.

In Tunisia un vasto, e inatteso, movimento popolare, sostenuto e orientato dalle forze politiche di opposizione (fra cui il partito islamista "Ennadha") ha indotto Ben Alì alla fuga.

In Egitto, il presidente Moubarak è stato costretto alle dimissioni dal venir meno del sostegno degli Usa e dalle lotte poderose di uno schieramento ampio, soprattutto urbano, apparentemente dominato dalle componenti giovanili laiche e progressiste.

In realtà, dietro, e dentro, tali movimenti c'erano i "fratelli mussulmani" i quali, pur avendo un'influenza sociale diffusa e un'organizzazione radicata e ramificata nella società, hanno mantenuto un comportamento defilato, in attesa di subentrare alle prime elezioni libere che, com'è noto, sono state stravinte in entrambi i Paesi dai partiti islamisti.

Con tutto il rispetto dovuto alle centinaia di vittime delle repressioni poliziesche, al coraggio e alla determinazione di grandi masse giovanili, femminili e operaie, bisogna, però, rilevare che quelle non furono vere rivoluzioni, ma generose rivolte giovanili, concentrate nelle grandi realtà urbane (molto meno nelle campagne), che, senza volerlo, hanno spianato la via del potere alle formazioni islamiste. Oggi, in questi Paesi è in atto una drammatica regressione politica e culturale (anche rispetto ai vecchi regimi) che nessuno dei grandi media illumina, forse perché troppo concentrati sulla Siria a spianare la strada del potere ai Fratelli musulmani, amici dell'Arabia Saudita e degli americani. Sappiamo che in Siria c'è una dittatura, ma deve essere quel popolo a liberarsene con le proprie forze e con i propri mezzi e non con armi e forze straniere come quelle provenienti dalla Francia e da altri paesi della Nato che sembra sia stata trasformata in un nuovo gendarme del mondo.

2. Tali movimenti, infatti, sono esplosi per legittime rivendicazioni endogene (la mancanza di libertà, di diritti civili, la sete di giustizia, di modernità, la lotta alla corruzione e alla disoccupazione, ai privilegi, ecc), ma anche per induzione esterna mediante l'uso mirato e raffinato dei social network.

L'obiettivo era quello di rovesciare i regimi tirannici, quasi tutti amici dell'Occidente. Difatto, però, le "primavere" hanno agevolato la vittoria dei "fratelli musulmani " e di altre organizzazioni islamiste, anche di tendenza salafita.

Un processo contraddittorio, ambiguo come rileva Mahdi Darius Nazemroaya, nella sua analisi "Dividere, conquistare e regnare in Medio Oriente", pubblicata alla fine del 2011:

"Il processo della "primavera araba" ha ribaltato in Nord Africa, dal Marocco all'Egitto, regimi politici autoritari fondamentalmente laici e con più o meno sbiadite venature socialiste, portando a capo dei nuovi governi gruppi islamici moderati. In Tunisia, Rachid Gannouchi leader del partito Ennahda ha rimpiazzato Zine el Abidine Ben Ali. Nella vecchia Jamiryia i ribelli jihaddisti libici riuniti nel Cnt si sono sbarazzati di Gheddafi grazie all'appoggio degli anglo-franco-americani, instaurando la sharia nella legislazione della "nuova Libia".

In Marocco, il partito islamico moderato e legittimista Giustizia e Sviluppo ha vinto le elezioni legislative portando il suo leader Abdelilah Benkirane ad esercitare il ruolo di primo ministro. In Egitto, il nuovo Parlamento, il primo da quando Mubarak ha lasciato il Paese, è composto per tre quarti da islamici, vale a dire dai Fratelli Musulmani e dai salafiti. All'appello nordafricano mancherebbe soltanto Ennahda, il movimento islamico algerino che concorrerà alle presidenziali nel 2014. 1

3. Com'era prevedibile, l'appoggio dato dall'Occidente alle "primavere arabe" si è risolto in un madornale errore. Ma si tratta di errori o di qualcosa d'altro? Errori così pacchiani, ripetuti autorizzano, infatti, un dubbio atroce: gli Usa sbagliano o hanno scelto, consapevolmente, di "sbagliare"?

Difficile sciogliere tale dubbio, anche se sappiamo, e vediamo, che le multinazionali Usa, pur di controllare il petrolio e il gas arabi, non si fanno scrupoli di allearsi anche con i più fanatici nemici degli Usa e dell'Occidente ossia con la "tendenza integralista", variamente connotata, l'unica in grado di controllare il potere politico e, quindi, le risorse degli Stati islamici.

Nel suo saggio, Sebastiano Caputo dà questa interpretazione:

"Al momento né Washington né Tel Aviv hanno suonato il campanello d'allarme, difficile capire il perché. La prima ipotesi presuppone che gli Usa sappiano che questi nuovi governi islamoneoconservatori agiranno principalmente nel campo del sociale attraverso leggi che limiteranno la libertà, mentre difficilmente metteranno le mani alla macroeconomia, vale a dire il libero mercato e il sistema monetario attuale, di conseguenza risulterebbe inutile scatenare pressioni o sanzioni.

Tuttavia l'eclatante trionfo dei valori islamici su quelli laici racchiude in sé una situazione paradossale. Se si analizza l'evoluzione della politica estera nordamericana dopo i cosiddetti attentati dell'11 settembre e l'atteggiamento scettico nei confronti dell'Islam, la domanda che viene in mente è per quale motivo gli Stati Uniti d'America, "garanti della democrazia nel mondo" permettono un tale evento storico-politico? Perché Israele consente a gruppi islamici, antisionisti e propalestinesi di governare Paesi limitrofi (Egitto) o periferici (gli altri Paesi del Maghreb)?" 2

Morsi si, Morsi no. Sissi si, Sissi ni: l'Egitto imbrigliato nella catena delle contraddizioni occidentali

Restando dentro la metafora, bisognava sapere che ai tepori della "primavera" seguono il caldo torrido dell'estate e dell'autunno e il freddo dell'inverno.

Ormai, però, incautamente, la porta è stata aperta e il "dragone", da tempo incatenato, è libero di agire. Ad avvertire, per primi, l'incombente pericolo sono stati i governanti israeliani che temono, con crescente inquietudine, l'addensarsi ailoro confini di nuovi regimi islamisti che non tollerano la presenza "della odiata entità sionista".

Probabilmente, anche da tali preoccupazioni è venuto il "nullaosta" Usa ai vertici militari egiziani di destituire il legittimo presidente Mohamed Morsi, leader della setta dei "Fratelli musulmani".

Un vero e proprio colpo di Stato, attuato con la silente complicità delle potenze della Nato, contro il primo rais eletto democraticamente, come hanno garantito i media occidentali, gli stessi che hanno applaudito il generale Sissi che lo ha cacciato e che ora non sanno cosa dire di fronte alla sanguinosa reazione del governo militare contro le proteste dei "fratelli musulmani".

L'Egitto è, oggi, l'esempio più clamoroso e pericoloso della impasse in cui si sono cacciati i governanti occidentali, della loro incapacità di rapportarsi con la complessa realtà del mondo arabo e islamico.

Questi governi sembrano arrogarsi perfino il "diritto di contraddizione", senza pagare dazio per le gravi conseguenze provocate.

Se a tutto ciò si aggiungono i comportamenti personali ambigui di taluni capi di Stato il quadro diventa davvero fosco e preoccupante e la prospettiva molto confusa.

A tale proposito, colpiscono le accuse gravissime lanciate da Tehani al-Gebali, vicepresidente della corte costituzionale egiziana, secondo il quale - come riportato da "La Stampa" - "Malik Obama, fratellastro dell'omonimo Presidente (Usa n.d.r.), sarebbe legato a doppio filo con la Fratellanza musulmana, l'organizzazione del deposto Mohammed Morsi, inizialmente sostenuta anche dalla Casa Bianca."

Addirittura, al-Gelali rincara la dose quando afferma, esplicitamente, che: "il fratello del presidente, Barack Obama, è uno degli architetti dei maggiori investimenti della Fratellanza musulmana".

(fonte: Francesca Canelli in "Libero - Quotidiano.it" del 27 agosto 2013

Non è il caso di enfatizzare questa denuncia, ma nemmeno di lasciarla cadere nel vuoto, poiché è chiaro che, se confermata, getterebbe un'ombra inquietante sull'immagine e sull'operato del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti d'America la cui elezione (meno la rielezione) abbiamo salutato come una grande conquista civile e politica del popolo americano e, in generale, come una vittoria sull'ideologia razzista mondiale. Un evento quasi assimilabile all'elezione di Nelson Mandela a presidente del Sud Africa.

Ho menzionato tale "notizia" per correttezza d'informazione e anche perché, in qualche misura, evoca due episodi richiamati nel libro che credo meritino una riflessione, se non altro per le sorprendenti analogie e coincidenze. Eccoli:

1) nel capitolo "La Sicilia e la Libia" dove si parla di Billy, fratello di Jimmy Carter altro presidente in carica, sbarcato in Libia per rendere omaggio a Gheddafi e alla sua "rivoluzione" antimperialista che gli Usa avevano messo al bando. A quel tempo (1979), il "Billygate" fu fatto passare per una stravaganza di un uomo assillato dai debiti e dall'alcool, ma - come documentiamo- si trattò di una sorta di "missione patriottica" che serviva al presidente Carter per risolvere, tramite il fratello, alcuni problemi di vitale importanza.

2) nel "Viaggio aTripoli" segnalo, invece, la rumorosa presenza in Libia, nel 1984, per partecipare alla conferenza internazionale di solidarietà con il regime di Gheddafi, di un afroamericano qualificatosi (e accolto) come presidente della proclamata "Repubblica islamica degli Stati Uniti d'America".

Si trattava del dottor Louis Raphael, leader dei "Black Muslim" americani, il quale promise (24 anni prima dell'elezione di Obama!) che presto avrebbero "piantato la bandiera verde di Allah sul pennone della Casa Bianca".

L'Algeria ha già subìto il "trattamento" islamista

Questa catena d'intrighi e di "contraddizioni", forse, aiuta a capire perché l'onda lunga della "primavera" araba non sia arrivata in Bahrain e in altre petromonarchie del Golfo, nella stessa Algeria.

Per quanto concerne l'Algeria, c'è da notare che questo importante Paese, arabo e mediterraneo, ha subito il "trattamento" (islamista) negli anni scorsi, con conseguenze davvero devastanti.

I governanti algerini capirono l'antifona e aprirono le porte alle multinazionali Usa e francesi ma anche russe.

Oggi, il terrorismo islamista è "sotto controllo" e le multinazionali possono controllare, tranquillamente e per vie traverse, i traffici d'idrocarburi e anche la gestione (questa è la novità) di taluni settori strategici algerini quali i trasporti, i servizi d'igiene e la produzione e la distribuzione di energia elettrica.

L'allarme lo ha rilanciato, recentemente, Salima Tlemcani, su "El Watan" del 27/4/2013:

"Mai, l'Algeria è stata così minacciata nella sua esistenza che in questi ultimi anni, a causa della sua rendita petrolifera. Il mal governo, la corruzione e gli interessi dei politicanti hanno finito perconsegnarla alla vecchia potenza coloniale e agli Stati Uniti che, oggi, hanno praticamente il monopolio sui due settori strategici più sensibili: i trasporti e l'energia. Gli uomini a più alto livello dello Stato hanno messo il Paese nelle mani degli Americani e dei Francesi, unicamente per comprare la loro benedizione".

Più chiaro di così!

La "primavera" non sboccia in Bahrain

Stranamente, nel vasto panorama delle petromonarchie arabe, assolutiste e oscurantiste, la "primavera" non è arrivata, si è infranta alle porte dei loro avamposti più tirannici.

E' stata "dirottata" in Siria, si potrebbe dire. Non è riuscita a sbocciare nemmeno nel piccolo e ricco emirato del Bahrain perché repressa nel sangue dall'intervento militare delle truppe dell'Arabia saudita, suo potente vicino e tutore, e perché mistificata dalle tv satellitari arabe e ignorata dai media occidentali.

Nel Bahrain (lo scontro è ancora in corso) si vorrebbe salvare, ad ogni costo, una "dittatura amica" poiché nell'emirato, pieno di banche arabe e occidentali e di basi militari Usa, la protesta non corre sul web, ma viene dalla casbah, dal popolo sfruttato, in gran parte di confessione "sciita", e perché in seconda fila non ci sono i "fratelli musulmani", pronti a subentrare senza traumi, ma il popolo sciita in sintonia con il vicino Iran degli ayatollah.

Evidentemente, all'interno del "cerchio Mena" il trattamento non è uguale per tutti i Paesi: il Bahrain va difeso perché fa parte della catena delle dittature amiche, mentre Siria e Iran, considerate dittature ostili e indisponibili, vanno sovvertite, scalzate con ogni mezzo, compreso l'intervento militare.

Questa è la lettura più realistica degli avvenimenti!

La posta in gioco è altissima e perciò non si bada a spese e a scrupoli di sorta. I decisori occulti e palesi sanno benissimo che chi, in questo secolo, controllerà il "cerchio Mena" influenzerà il futuro del mondo.

Il controllo di una regione così vasta e difficile, un po' scottata dall'esperienza coloniale europea, richiede la collaborazione in loco di vecchi e nuovi amici più solidi politicamente, disponibili a condividere i rischi e i frutti dell'ambizioso progetto.

Insomma, non ci si poteva più appoggiare su dittatori esausti, screditati, corrotti che non avrebbero potuto più tenere a bada le masse giovanili e popolari diseredate, ma bisognava individuare, promuovere soggetti nuovi, decisi, influenti, capaci di generare anche un certo grado di consenso sociale e politico.

Dopo le intese con i re e con gli emiri, "moderni" all'estero e retrivi in patria, con gli uomini delle vecchie dinastie petroliere, scandalosamente ricchi e gaudenti, con i rappresentanti dell'aristocrazia compradora internazionale, sono stati ricercati accordi con la "fratellanza musulmana" l'unica, nel mondo islamico, a essere ben organizzata, motivata e, dunque, capace di governare quelle società turbolente.

Qua e là - secondo il bisogno - sono state contattate e reclutate anche talune formazioni più estremiste.


1 S. Caputo "PianoYinon: la"primavera araba" per spaccare l'Africa" in "Informareper Resistere" del 8/4/2013

2 S. Caputo, op. cit.

 

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