LA SICILIA AL CENTRO DI UN SISTEMA AGROALIMENTARE MEDITERRANEO
Intervento di Agostino Spataro al Convegno Nazionale
"Orizzonti Mediterranei: lavoro, alimentazione, ambiente"
Palermo, 21 gennaio 2003.

Una seria riflessione sulle prospettive dell’agricoltura e dell’agro-alimentare siciliani e meridionale, non può prescindere dalle diverse questioni indicate dalla relazione di Italo Tripi e in particolare da una valutazione di merito delle due principali scelte geo-politiche compiute, negli ultimi anni, dall’Unione Europea:

a) il Trattato di Barcellona per il partenariato euro-mediterraneo sottoscritto, nel 1995, fra i 15 Paesi dell’U.E. e 12 Paesi terzi mediterranei;

b) la recente decisione dell’allargamento dell’Unione ad altri 10 Paesi dell’Europa centro-orientale, assunta nel vertice di Copenaghen del dicembre 2002.

Col primo accordo è stata avviato un impegnativo processo di partenariato globale, una forma più evoluta di cooperazione, fra i 15 paesi dell’Unione europea e i 12 PTM che si affacciano sulle rive sud ed est del Mediterraneo: dal Marocco alla Turchia. (saltando per il momento la Libia) che, entro il 2010, dovrebbe sfociare nella creazione di una Zona di Libero Scambio (ZLS).

Tuttavia, per evitare tensioni paralizzanti fra le due parti contraenti, in questa prima fase sono stati “accantonate” talune questioni piuttosto spinose, quali la libera circolazione delle persone e dei prodotti agricoli, che dovranno essere affrontati, in armonia con lo spirito liberista del Trattato e sulla base del principio della reciprocità.

Per la gran parte dei Paesi mediterranei (soprattutto quelli non produttori d’idrocarburi) l’esportazione delle loro produzioni agricole sui mercati europei è di vitale importanza, poiché questi prodotti costituiscono la principale risorsa esportabile, per tentare di controbilanciare le massicce e variegate importazioni di beni e servizi provenienti dai paesi dell’Unione.

Perciò, se si vuole dare corso agli accordi bilaterali già sottoscritti in vista della creazione della Zona di libero scambio, l’Europa non può continuare ad arroccarsi su una politica di limitazione delle esportazioni agricole dei PTM, ma dovrà consentirne il libero accesso sul mercato europeo, come già oggi chiedono i paesi partners.

Dall’altro lato, l’ingresso nell’Unione Europea, a partire dal 2004, dei 10 Paesi dell’Europa centro-orientale (Polonia, Rep. Ceca, Ungheria, Slovenia, Rep. Slovacca, Estonia, Lituania, Lettonia, Cipro e Malta) aprirà le porte del mercato alimentare europeo a nuovi, consistenti volumi di produzioni agricole, anche qualificate, realizzate in questi paesi a costi più competitivi rispetto a quelli medi italiani.

Queste due realtà, avviate su differenti percorsi sulla via dell’integrazione nella UE, così diverse per esperienza storica e politica, per il loro profilo sociale e culturale, hanno in comune alcuni aspetti socio-economici basilari: un PIL fortemente caratterizzato dalla componente agricola, un reddito procapite generalmente basso e salari di molto inferiori agli standard europei e meridionali.

Caratteristiche che confermano la previsione di una consistente crescita dell’offerta di prodotti agroalimentare, a basso costo di produzione, sul mercato alimentare europeo che potrà squilibrare il sistema generale dei prezzi e attivare meccanismi di concorrenza oltremodo spinta.

Per dare un’idea dell’incidenza che tale offerta potrà determinare sul mercato europeo, riporto, di seguito, i dati relativi ad alcune produzioni dei Paesi candidati i quali, in rapporto alla produzione complessiva dell’Unione Europea, realizzano, fra l’altro: il 25% della produzione cerealicola; l’85% della produzione di patate; il 20% della produzione di zucchero; il 50% della produzione di mele; il 13% della produzione di pomodoro e il 50% della produzione di carote.

(Fonte: Eurostat- Yearbook- Edition 2001)

Per queste ed altre ragioni, l’allargamento ad est e il partenariato a sud cominciano a suscitare, in Sicilia e altrove, inquietudini e legittimi interrogativi circa il futuro di importanti comparti produttivi tradizionali e non.

Tuttavia, i problemi non si possono risolvere pensando ad un impossibile ritorno all’indietro, ma affrontandoli nella loro effettiva realtà, introducendo idonei correttivi e più efficaci misure di compensazione; poiché non si può mettere in discussione la scelta di fondo, adottata dai vertici dell’Unione, finalizzata a realizzare, dopo la moneta unica, l’unione effettiva e democratica dell’Europa (dall’Atlantico verso gli Urali, dal Mediterraneo al Circolo polare artico), quale garanzia di pace e di prosperità dei popoli, per dare vita ad una nuova, forte entità politica ed economica che si candida a divenire co-protagonista dello sviluppo del pianeta in questo nuovo secolo, dominato dalla globalizzazione dell’economia all’insegna di un liberismo selvaggio e talvolta avventuriero.

In tale contesto, ancora in evoluzione, la Sicilia, regione di frontiera a duplice vocazione mediterranea ed europea, si mostra più sensibile ai contraccolpi determinati dal processo di costruzione unitaria dell’Europa.

Appare, perciò, necessaria una riflessione specifica, che coinvolga altre regioni meridionali e mediterranee per intraprendere tutte le azioni politiche e sociali onde evitare il rischio di un oggettivo svigorimento della politica mediterranea dell’Unione, fare in modo che l’allargamento ad est non si realizzi a scapito della prospettiva del partenariato euro-mediterraneo.

In questo senso, qualche problema comincia ad affiorare.

Nella lista dei nuovi stati aderenti figurano tre Paesi mediterranei (Slovenia, Cipro e Malta, gli ultimi due facenti parte degli accordi di Barcellona).

L’ingresso di questi tre Paesi se da un lato andrà a rafforzare la caratteristica mediterranea dell’Unione, dall’altro lato potrebbe indebolire l’impianto politico e multiculturale dell’ambizioso progetto del partenariato euro-med, poiché il passaggio di Malta e Cipro da membri di Euromed a membri dell’Unione, oltre a ridurre il numero dei partners mediterranei (da 12 a 10), impoverirà il contesto politico e culturale di riferimento che sarà polarizzato intorno a due sole componenti fra loro contrastanti: l’arabo-islamica e l’ebraica.

Perdurando il gravissimo stato di tensione fra palestinesi ed israeliani, ( per non dire delle imprevedibili conseguenze che potranno derivare da una disastrosa guerra “occidentale” contro l’Iraq) sarà sempre più problematico continuare a vedere i rappresentanti del governo israeliano (isolato) a fianco di quelli dei nove Paesi arabo-islamici, nel ruolo di parte contraente dell’Unione nel partenariato euro-mediterraneo.

Sotto questo profilo, la situazione potrebbe peggiorare a seguito del probabile ingresso della Turchia nella UE. Infatti, l’uscita di questo importante Paese dagli accordi di Barcellona sarebbe un durissimo colpo all’intero sistema del partenariato euro-mediterraneo, tale da mettere in discussione perfino la fattibilità della zona di libero scambio.

Francamente, non si capirebbe il senso e l’utilità di una zona di libero scambio costituita fra circa 30 Paesi della futura Unione Europea, di gran lunga la prima potenza economica del pianeta, e un gruppo ristretto di Paesi poveri del Mediterraneo.

All’interno di questa “zona” lo scambio potrà essere “libero”, ma sarà certamente ineguale e quindi andranno ad accentuarsi le contraddizioni esistenti e a prodursi nuovi, abissali divari di reddito e di servizi fra l’UE e i residui paesi terzi mediterranei.

In sostanza, il rischio che si comincia ad avvertire nei paesi delle rive sud ed est del Mediterraneo, è quello di uno spostamento del baricentro dell’interesse economico e dell’impegno finanziario europei verso i Paesi di nuova adesione, a scapito di quelli dell’area mediterranea.

Dobbiamo avere piena coscienza che il fallimento della prospettiva d’integrazione euro-mediterranea getterebbe questi Paesi (quasi tutti retti da regimi politici illiberali) in una condizione di grave instabilità politica e di estrema precarietà sociale ed economica, e li spingerebbe nel vortice dell’integralismo politico-religioso, divenendo facile preda dei movimenti dell’islamismo politico più radicale.

Sarebbe questa una prospettiva drammatica, rovinosa non solo per questi popoli e paesi, ma per l’intero bacino mediterraneo e per l’Europa che, per crescere ed affermare il suo ruolo nel mondo, non può permettere una frattura così traumatica e destabilizzante ai suoi confini.

Oggi più che mai, la convivenza pacifica tra tutti i popoli del mediterraneo è la condizione primaria per lo sviluppo economico e democratico di questo bacino, all’interno del quale si agitano problemi e squilibri di vario tipo, fra i quali non sono da sottovalutare quelli che potrebbero derivare dalla crescita demografica che da qui al 2025, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, porterebbero la popolazione globale dei PTM dagli attuali 229 milioni a 331 milioni di abitanti. Più di 100 milioni di unità, in gran parte giovani sotto i 25 anni, che, non trovando un inserimento nel mercato del lavoro locale, saranno spinti ad emigrare, a qualsiasi costo, verso l’Italia e verso altri paesi europei.

Un’incidenza davvero “destabilizzante” in rapporto alla crescita prevista nei 5 paesi rivieraschi dell’Europa del sud nei quali, nello stesso periodo, la popolazione si accrescerà di soli 4 milioni di unità, passando dagli attuali 176 a 180 milioni di abitanti.

Perciò, dopo Copenaghen, è necessario rilanciare il sistema di relazioni euro-mediterranee, verificare l’efficacia delle procedure per spendere bene quei 13 miliardi di euro, messi a disposizione dall’Unione col programma “MEDA 2” per il periodo 2000-2006, per favorire lo sviluppo socio-economico, democratico e culturale dei PTM e la realizzazione dei progetti di armonizzazione con gli obiettivi indicati nei trattati.

Per altro, c’è da segnalare che a tale, enorme mole di finanziamenti possono accedere anche enti pubblici e soprattutto imprese private dei Paesi europei che desiderano attuare iniziative economiche, culturali e sociali in compartecipazione con soggetti dei PTM.

Il ricorso a MEDA 2 può diventare una via praticabile per mettere in atto iniziative di cooperazione anche nel settore agroalimentare, soprattutto nel campo della manifattura e della commercializzazione dei prodotti agricoli.

A titolo d’esempio, desidero qui ricordare un’ipotesi messa allo studio dal ministero dell’Agricoltura tempo addietro, relativa ad un progetto di cooperazione "triangolare" in questo settore fra Sicilia, Ungheria (importante produttore agricolo) ed alcuni paesi mediterranei per rifornire gli interessanti mercati del medio-oriente e della regione del Golfo.

Mi domando: è possibile oggi, alla luce della decisione di allargamento, esplorare nuove vie di cooperazione, di partenariato in questo come in altri settori, fra le regioni mediterranee e i paesi che entreranno nella UE?

Così come c’è da chiedersi perché la Regione, che tante competenze si è vista attribuire in questi campi, non si è attivata adeguatamente per usufruire, d’intesa con altre, dei fondi stanziati col secondo programma MEDA ?

Purtroppo, i dati indicano il permanere di un imperdonabile ritardo nella capacità di spesa dei vari paesi che nel caso di MEDA 1 non ha superato complessivamente il 40% delle somme stanziate.

Insomma, anche nella gestione della politica del partenariato euromed sta prendendo piede la triste piaga dei “residui passivi” che- com’è noto- i meccanismi comunitari riescono a recuperare, magari dirottandoli verso altre destinazioni.

Alla luce di queste difficoltà- e mi avvio alla conclusione- l’inevitabile conseguenza appare essere quella di una concorrenza estrema, reciprocamente dannosa, fra produzioni agricole dei PTM e delle regioni rivierasche dei Paesi del sud-Europa; la tanto temuta “guerra tra poveri”.

La sfida che invece bisognerebbe lanciare, dalla Sicilia, da Palermo, è quella di elaborare un’ipotesi concertata di partenariato nel settore agricolo mediterraneo, mediante un coordinamento in ambito Euromed per giungere ad una sorta di nuova divisione internazionale delle produzioni e delle specializzazioni per evitare esuberi e inutili duplicazioni.

L’idea dovrebbe essere quella di creare un vero e proprio sistema agroalimentare da proporre come punto di riferimento per l’intero bacino mediterraneo ed anche, perché no, per quei tanti paesi dell’Africa sahariana e subsahariana letteralmente devastati dalla fame e dalla siccità, ai quali bisogna guardare con una più generosa solidarietà.

In tale contesto, la Sicilia e il mezzogiorno dovrebbero puntare a diversificare e a qualificare la loro produzione agricola per meglio rispondere alla domanda sempre più esigente proveniente dai mercati locale, europeo e mondiale; senza trascurare la capacità di assorbimento del turismo, un settore economico di fondamentale importanza e di grande prospettiva per tutti i paesi del bacino mediterraneo.

La crisi che la Sicilia, ma anche dell’Italia, stanno vivendo come inizio di un preoccupante declino non è dovuta solo all’inadeguatezza delle classi dirigenti, ma soprattutto alla mancanza d’idee valide, dell’incapacità di progettare il futuro dentro i nuovi, vasti orizzonti della globalizzazione, dell’innovazione scientifica e tecnologica, del gigantesco sforzo di riassetto dei poteri nel mondo.

Abbiamo bisogno di idee nuove, forti e mobilitanti, per uscire dal torpore fetido di una gestione asfissiante del quotidiano che rischia di relegare la Sicilia in una condizione di estrema marginalità, dominata da un “rinnovato” sistema di potere politico e mafioso.

Per tornare ai tempi specifici del convegno, si è detto- giustamente- delle grandi potenzialità del “biologico”, della notevole diffusione della dieta mediterranea in ogni angolo del pianeta e quindi della capacità di penetrazione dei nostri prodotti su tutti i mercati mondiali (clamorosi sono i dati relativi ai vini siciliani), io desidero aggiungere una breve considerazione relativa alle opportunità offerte dal settore turistico.

La Sicilia è al centro del Mediterraneo, ovvero del il più grande bacino turistico del pianeta dove, ogni anno, oltre al turismo interno ai singoli paesi (che non si riesce a stimare con precisione) arrivano circa 180 milioni di turisti internazionali, appartenenti ad una fascia di reddito medio-alta, in gran parte europei e di altri paesi OCSE. Una massa enorme di persone, le quali oltre al mare e al sole, alle bellezze archeologiche e paesaggistiche, sono alla ricerca di una gastronomia tipicizzata e di qualità.

In Italia, nel 2001, il movimento turistico interno ed internazionale ha raggiunto la ragguardevole cifra di circa 80 milioni di arrivi, dei quali soltanto 4 milioni in Sicilia. Questi dati, seppure molto schematici, confermano la vitalità del comparto turistico nazionale (uno fra i più importanti al mondo) come campo privilegiato di sbocco dell’offerta agroalimentare e rilevano le enormi difficoltà presenti in Sicilia che certo non può continuare a sottoutilizzare una risorsa primaria e socialmente proficua come il turismo abbinato al mare e alla terra.

Naturalmente, per raggiungere questo obiettivo è necessario un concorso di sforzi e di azioni combinate, mirate all’espansione programmata e compatibile con l’ambiente, alla qualificazione delle produzioni agricole mediterranee, capaci cioè di garantire sicurezza e qualità ai consumatori, e quindi di produrre un innalzamento del valore aggiunto, a garanzia dell’occupazione e dei redditi dei lavoratori e dei produttori.

Non ho qui una ricetta da proporre, tuttavia sappiamo che è necessario, soprattutto in Sicilia, rimodulare lo sviluppo dell’agricoltura alla luce delle innovazioni e dei grandi mutamenti cui abbiamo accennato, sulla base di uno sforzo finanziario ed organizzativo coordinato, cominciando ad affrontare sul serio- e non come un’eterna e clientelare emergenza- il suo problema principale: quello dell’acqua e dei sistemi d’irrigazione.

Anche in questo campo, la ricerca delle soluzioni deve tener conto della dimensione mediterranea, poiché la carenza d’acqua è comune a tutti i Paesi mediterranei i quali costituiscono un insieme solidale, visto che gli eventi si originano dagli stessi fenomeni, come dimostra un interessante ed organico studio di recente elaborato dal CNR di Napoli, su commissione della società Sudgest, e pubblicato sull’ultimo numero del nostro bollettino on line “www.infomedi.it”.

Concludo davvero, ringraziandovi per l’attenzione prestatami, sperando di avere minimamente corrisposto alle attese dei compagni che mi hanno invitato. Grazie.

Agostino Spataro


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